Nella mia giovane ma diversificata esperienza tra contesti e fasce d’età differenti, posso dire di aver trovato una costante: la richiesta “me lo fai tu?” A vario titolo, in modo implicito o esplicito, mi è sempre stata rivolta da bambine, bambine, ragazzi e ragazze.
Non si tratta di uno scarico di responsabilità nel senso adulto del termine, di un lavarsene le mani per liberarsi di un’incombenza, ma di un senso di inadeguatezza inaspettatamente molto diffuso tra le fasce d’età più giovani, legato alla paura di sbagliare e di non essere all’altezza.

Del Signor Errore, abbiamo parlato spesso in questo blog: il Signor Errore, teorizzato e nominato da Maria Montessori, è uno dei motori dell’apprendimento: è lui che ci spinge a correggere il tiro, stimola la nostra creatività e ci sprona a trovare una soluzione alternativa, impensabile e spesso più appagante.
Con la possibilità di commettere errori dunque, dovremmo riuscire “a fare i conti”, mettendo in conto (scusate il gioco di parole) che più che assimilarla alla paura di sbagliare, sia da apprezzare, in quanto in grado di migliorarci: dopo aver commesso un errore che ci brucia, è quasi impossibile fare peggio, monta in noi l’adrenalina che ci fa battere il cuore e pulsare le tempie, volta a darci l’energia necessaria ad andare oltre. Tutto questo, scritto e letto così, è estremamente poetico, ma come trasmetterlo agli educandi accompagnandoli nel magnifico percorso che è la loro crescita?
Mi vengono in mente due episodi, vissuti in due fasce d’età distinte: esattamente 10 anni intercorrono tra la bambina e la ragazza di cui vi parlerò.
La prima, 4 anni, ogni volta che disegna arriva ad un punto in cui vorrebbe disegnare qualcosa che lei ritiene di non essere in grado di rappresentare e lì, automaticamente, si rivolge al maestro o maestra di turno chiedendo: “me lo fai tu?”.
È plausibile che una bimba di 4 anni non sia in grado di disegnare ogni oggetto esattamente come appare ai suoi occhi, eppure pensando in positivo nei suoi confronti e non sostituendoci a lei nel disegno, possiamo domandarci: quali risorse ha a sua disposizione? E partire da quelle. Prima fra tutte, l’immaginazione, estremamente fervida a quell’età.
L’immaginazione, in questo caso specifico, oltre a permetterci di chiudere gli occhi ed immaginare l’oggetto nel dettaglio provando a riproporlo nel migliore dei modi, è quella che alimenta creatività e problem solving nell’infanzia.
In questa fascia d’età, alla domanda “me lo fai tu?”, al fine di non sostituirci ai bambini risolvendo il problema del momento non contribuendo in alcun modo al suo armonioso sviluppo, la conoscenza degli interessi del bimbo e fare leva sulla sua immaginazione, possono aprire porte incredibili per la riuscita di un’attività, fino ad ipotizzarne di nuove.

Alla domanda della bimba “mi disegni l’unicorno? Io non ci riesco”, rispondere “ma tu adori gli unicorni, sai bene come sono fatti, meglio di me di me che sono grande. Chiudi gli occhi, immagina l’unicorno più bello che ti viene in mente e disegnalo” Da quel chiudi gli occhi e immagina, si apre un mondo… di scintilli, arcobaleni e fiori!
“E se mi esce male?” “Non importa come ti esce, è importante che tu sia soddisfatta del tuo lavoro. Se non lo sarai, vorrà dire che dovrai provare ancora!”
Accompagnare i bambini in questo modo è un’avventura, è come caricarli di energie vitali, basta poco e procedono spediti pieni di voglia di fare. Se un discorso simile si fa ad un tavolino, di fronte altri bambini che a loro volta sono impegnati in un’attività, in modo quasi commovente, si solleveranno una serie di “si, devi solo IMPRATICHIRTI!” – sentito con le mie orecchie – “Ce la puoi fare!” “Lo dice anche la mia mamma” “Anche io non ero bravo, poi sono migliorato”.
E se proprio la nostra bimba non riesce ad usare l’immaginazione, ricorreremo all’ambiente che viene sempre in nostro aiuto.
Cercheremo con lei disegni di unicorni sui libri in aula, sulle magliette e i vestitini, le scarpe (se appassionata di unicorni, qualche unicorno da qualche parte spunterà), materiali presenti in aula e via, a sperimentare la manualità fine nel riprodurre l’immagine davanti agli occhi.
“Me lo fai tu?” è una domanda estremamente ricorrente, sintomo che bambini e ragazzi ancora non sono adeguatamente sostenuti nello sviluppo dell’autostima. Sia chiaro, a volte subentra un po’ di pigrizia, ma non è questo il caso.
E se a chiedere il nostro aiuto è una ragazza più grande?
Il discorso cambia. Un’adolescente come nell’esempio di cui vi sto per parlare, è più disilluso. Spesso la sua scarsa autostima viene da esperienze negative, vissute come fallimentari, che inducono il ragazzo o la ragazza a non sentirsi all’altezza.
Con una ragazza di 14 anni che è rimasta indietro in scienze naturali e deve preparare un’interrogazione di recupero, si va oltre il “me lo fai tu?”; tutto si muove sull’asse del “non sono in grado, neanche se mi aiuti”.
Qui si tratta di accompagnarla, ancor prima che nello studio, nel rendersi conto delle proprie potenzialità. Quella materia, percepita come ostica, se approcciata con il giusto spirito, può essere estremamente interessante oltre che legata alla realtà che ci circonda.

Consapevoli che recuperare totalmente un capitolo di 30 pagine, per chi non ama la materia, sia impossibile, proviamo anche in questo caso a fare riferimento al dato di realtà: agli esempi, agli schemi di fine capitolo e alla quotidianità. La ragazza prenderà 5 ½, passato a 6 da una brava prof che inconsapevolmente ha lavorato in équipe con me, capendo che quella ragazza aveva studiato, si era impegnata a necessitava di incoraggiamento.
Con un adolescente, il dato di realtà è lo strumento più potente di cui disponiamo.
Gli adolescenti, in piena crescita e in una fase in cui il confronto con gli altri – per cui non si è mai all’altezza– è sempre dietro angolo e l’unico vero metro di misura che li induce a formare la propria personalità adulta, affinché non si perdano nella loro intima ricerca della verità, è importante riportarli alla realtà, mostrargli il mondo per quello che è e per quello che effettivamente può essere; mostragli chi possono essere ed offrirgli tutte quelle possibilità che, per loro inesperienza, non possono prendere in considerazione nella loro visione assolutistica del mondo: si può essere geniali o delle frane totali, non ci sono vie di mezzo.
E invece si, ci sono: c’è il 5 ½ passato a 6 frutto di studio matto e disperatissimo, sinonimo che quella materia, se studiata passo passo, pur non essendo per ora il nostro cavallo di battaglia, può anche non essere il nostro incubo. Ci sono metodi di studio che non conosciamo, un metodo di studio mai sperimentato e uno stato emotivo con cui ci si avvicina allo studio mai vissuto. Alla domanda implicita “me lo fai tu?” risponderemo dunque con un ventaglio di edite e inedite possibilità, tutte da sperimentare tra le quali – la nostra esperienza lo sa – , sicuramente ci sarà una via per l’autonomia e se non ci sarà, ne stimolerà la creazione di una nuova, del tutto unica e cucita su misura.
A presto,
Giancarla.