Inclusione, linguaggio inclusivo, politically correct, pelle scura, disabile, non vedente.
Quando si parla di inclusione, per chi, in buona fede, cerca di vivere in un mondo (fortunatamente) in costante evoluzione, una delle questioni più difficili da affrontare è imparare ad utilizzare un linguaggio adeguato, che non offenda e non crei imbarazzi: in poche parole, un linguaggio inclusivo.

Non è necessario essere esperti di comunicazione, bastano sensibilità e voglia di mettersi in discussione
Non è raro ritenere di dover essere iper informati su ogni tema, cercare termini specifici e rischiare di non essere in grado di usarli, finendo con il fare vere e proprie gaffe. Ma stiamo calmi. Nessuno ci chiede di essere esperti di medicina o antropologia. Basta essere umani.
Di fatto, nessuno ci chiede di essere esperti della sua cultura, ma solo che, quando non si sa, con un po’ di tatto, si chieda direttamente all’interessato. Così facendo, daremo modo alla persona oggetto della conversazione, di diventarne protagonista, dimostrando rispetto e fugando, al tempo stesso, ogni nostro legittimo dubbio.
Avremo modo di ascoltare un’esperienza diretta a cui potremo rispondere con quella che è stata la nostra di esperienza, portando da subito la conversazione su un piano più costruttivo e meno qualunquista, evitando stereotipi e luoghi comuni, che potrebbero stroncare il dialogo sul nascere.
La chiave è l’essenzialità: cosa dire
Nonostante tutto però, c’è una regola d’oro molto cara al giornalismo: l’essenzialità dell’informazione.
Consiste nella possibilità, da parte del giornalista, di rendere noti dati personali e informazioni necessarie al diritto di cronaca, purché siano quelle strettamente necessari a descrivere la notizia di cui si parla.
Tale principio, in modo analogo, possiamo applicarlo al nostro modo di esprimerci per evitare di parlare a vanvera, limitandoci a raccontare di una persona o di un evento solo gli elementi davvero essenziali a descriverlo, fino a quando la conversazione non toccherà un livello di confidenza tale da poter scendere in profondità e dare spazio a considerazioni sempre più personali.
Es.1 “Il mio nuovo dentista è indiano ed è molto bravo nella cura delle carie”. Dire che il dottore è indiano, è utile ai fini del racconto che abbiamo un nuovo dentista molto bravo? No, dunque possiamo limitarci a dire che il nuovo dentista è molto bravo nella cura delle carie.
Probabilmente, senza malizia, il fatto di aggiungere che è indiano, da parte nostra vuole intendere solo che è una cosa interessante per noi, perché non abbiamo mai avuto un medico indiano. Tuttavia, alle orecchie di chi non ci conosce o in una conversazione come tante, potrebbe risultare che per noi, avere un medico indiano fosse impensabile o che, addirittura, sia sorprendente che un indiano sia un medico e anche bravo. Come vedete le possibili interpretazioni, di una stessa frase, possono essere molteplici.

Es. 2 “La mamma del compagno di scuola di mio figlio è molto simpatica. Ha divorziato da poco.” anche qui, si parla di divorzio? No. Se non si parla di un tema specifico strettamente legato al privato di qualcuno, perché aggiungere dettagli che sanno più di pettegolezzo che di dialogo?
Quest’ultimo esempio inoltre, permette di aggiungere un altro tassello: fare riferimento al contesto.
Il contesto è la nostra bussola: quando dirlo
Se l’essenzialità ci aiuta a capire quali termini o aggettivi non sia il caso di usare, il contesto ci aiuta a capire quando dire o non dire alcune informazioni.
La domanda principale è: di cosa si parla? Se il tema è lo sport, rimaniamo concentrati sullo sport, parlando di atleti e sportivi tenendo a mente le loro doti o non doti sportive, le loro storie di sport, le loro caratteristiche. Non è necessario sfociare ne “il tuffatore gay dell’Inghilterra”. Se il tema fosse l’omosessualità nello sport, allora sì, ci ricorderemmo del tuffatore gay che ha vinto medaglie e fa l’uncinetto portando avanti il suo attivismo, altrimenti ci faremo una manica di fatti nostri e parleremo del punteggio che ha avuto nei suoi tuffi – ammesso che riusciamo a capirne il valore.
E se vivessimo in una realtà non così diversificata, imparare a parlare in modo inclusivo non ci servirebbe?
Errore. Come si ricorda spesso, l’inclusione non riguarda pochi, piccoli gruppi sociali residenti nelle metropoli, a cui facciamo la grazia di far parte del nostro maxi gruppo di maggioranza.
L’inclusione riguarda da vicino chiunque, poiché, a dispetto di quanto si possa pensare, ogni individuo potrebbe essere, a vario titolo, relegato ad un gruppo minoritario piuttosto che un altro. Per un motivo o per un altro, chiunque di noi può sentirsi escluso o discriminato in una società non educata all’inclusione: tutti potremmo essere sempre discriminati da qualcuno che si ritiene migliore di noi.
L’inclusione non si realizza come forma di bontà per disabili, stranieri e queer, ma per l’inclusione di tutti, di ogni individualità, anche quella della giovane mamma single (in alcune realtà ancora definita ragazza-madre) che ha dato scalpore in paese rimanendo incinta a 16 anni; della famiglia in difficoltà economiche, l’unica senza macchina; del bambino che indossa i vestiti del fratello, del e il ragazzo cresciuto dai nonni.

La vita può farci sentire fragili e bisognosi di protezione in vari modi e tempi diversi, ciò per cui dobbiamo batterci, è fare in modo che in quei momenti, la società di riferimento sia in grado di accogliere ogni individuo, facendolo sentire da emarginato o escluso, semplicemente, in una parola, incluso: parte fondamentale di qualcosa.
A presto,
Giancarla.
Fonte: agendadigitale.eu