Le razze umane non esistono. L’UNESCO ci spiega perché.

A seguito dei terribili fatti che hanno riguardato la convivenza tra popoli durante la prima metà del ‘900, l’UNESCO – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, organismo ONU, nato il 4 novembre 1946, nel 1950 e nel 1951, emana, contro i focolai di razzismo ancora attivi, diverse importanti Dichiarazioni sulla Razza, formulate da un gruppo di scienziati. Tra questi l’antropologo Ashley Montagu con il quale inizia una collaborazione lunga decenni.

Le dichiarazioni del biennio 1950/51 saranno solo le prime di una serie di pubblicazioni scientifiche, volte a rispondere definitivamente alla domanda: esistono le razze umane?

Photo by Scott Evans

Alla base di tali studi, nessuna tesi di parte, solo il desiderio degli scienziati di tutto il mondo, di comprendere quanto, come e perché le teorie antropologiche e biologiche che giustificavano il razzismo coloniale e antisemita dei decenni precedenti, potessero avere valenza scientifica.

Nel 1969 l’UNESCO, pubblica i Four statements on the race question, un documento di 54 pagine, redatto da antropologi e genetisti di varie nazionalità, in cui viene definitivamente smentita l’esistenza di razze pure e la possibilità di una loro gerarchizzazione.

Sarà, però, il 1978 l’anno di svolta, quando una un’ulteriore dichiarazione, votata all’unanimità e per acclamazione dalla Conferenza Generale dell’UNESCO il 27 novembre 1978, riformula definitivamente le posizioni antirazziste sulla base del rafforzamento delle conoscenze fino a quel momento acquisite. Così facendo, l’UNESCO richiama ancora una volta l’attenzione degli Stati sulla promozione culturale ed educativa dell’antirazzismo.

È così che vede la luce la Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali.

Il documento compone di un preambolo e soli 10 articoli in cui si sancisce che gli esseri umani provengano tutti da un unico ceppo genetico e che ogni individuo è frutto di secoli di incontri e scambi di geni per cui nessuno si può considerare puramente appartenente ad una “razza” piuttosto che ad un’altra.

Photo by Tom Barrett

Le differenze nei connotati estetici si riconducono all’adattamento dei fisici dei vari popoli ai diversi ambienti in cui hanno vissuto maggiormente, determinando ad esempio, colori della pelle o forme degli occhi diverse, in base al clima.

I popoli vissuti maggiormente nei pressi dell’equatore, ad esempio, dove la presenza di raggi diretti del Sole per buona parte dell’anno, è maggiore, con temperature molto elevate che inducono a scoprire la pelle, questa ha reagito inscurendo definitivamente l’epidermide, in funzione di protezione.

Tali aspetti tanto visibili, però, sono esclusivamente caratteri che determinano varie forme umane, senza modificarne la sostanza che, a livello di patrimonio genetico, rimane una e una sola. Il patrimonio genetico risulta essere largamente condiviso, oltre che estremamente continuativo grazie alle costanti migrazioni: i biologi e i genetisti hanno scoperto che non esiste un gruppo umano al suo interno geneticamente omogeneo.

Non esiste alcun gene che sia presente in alcuni gruppi e assente in altri, sebbene la frequenza di alcuni geni differisca tra i gruppi umani, in tutti i gruppi umani disseminati nel mondo si trova uno zoccolo duro di grande somiglianza.

Si possono certamente notare delle diversificazioni, ma queste sono riscontrabili sia tra gruppi molto allargati sia tra gruppi molto stretti, come gli abitanti di villaggi o paesi vicini, fino ad arrivare ai singoli individui. Un sostenitore della distinzione e classificazione razziale dovrebbe classificare sottospecie sempre di gruppi sempre più piccoli, arrivando paradossalmente a stabilire che ogni singola persona è una razza a sé.

Photo by Lukas Souza

Alla luce di quanto scoperto, cosa si deduce una volta per tutte dalla Dichiarazione?

Tutti gli individui sono diversi in base ad esperienze, contesti di vita ed educazione. Le differenze che percepiamo sono legate ad occasioni esistenziali vissute o mancate, frutto di ciò che le persone vivono dal momento della loro nascita in poi.

Sono legate a scelte attuali, politiche, sociali, sanitarie ed educative e non a questioni biologiche fondatamente scientifiche. Nonostante questo, le scelte politiche hanno il potere di determinare negli individui, altrettante cruciali scelte personali che possono acuire la percezione di distanza tra le persone.

Concretamente dunque, non essendovi alcuna differenza alla nascita tra persone e popoli, l’esistenza delle abissali distanze che percepiamo e la sensazione che con alcuni non possa esservi alcun ponte comunicativo, è solo frutto di questioni internazionali e sociali irrisolte, che se lasciano spazio all’uguaglianza formale, altrettanto non fanno con quella sostanziale e ancor meno con quella percepita.

La possibilità che ogni individuo manifesti la propria individualità, secondo usi e costumi a lui più congeniali, dunque, è auspicata e forma di manifestazione individuale riconosciuta a livello internazionale, Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali, compresa. Ciò su cui occorre lavorare, invece, sono le forme di dialogo e la consapevolezza che, seppur con abitudini estremamente diverse, ogni individuo con cui ci relazioniamo è intrinsecamente uguale a noi per origine, biologia e psicologia, e, se adeguatamente favorito, non trovare un terreno comune di dialogo è impossibile. Tutte le difficoltà che viviamo, non sono reali, ma ancora frutto di politiche inadeguate.

A presto,

Giancarla.

Fonte: Vaccarelli A., Per una pedagogia della decostruzione: come affrontare il razzismo a scuola, Università degli Studi Roma Tre, Roma, 2020.

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