Alla base dell’intercultura vi è l’imprescindibilità dei diritti umani

Quando si parla di educazione interculturale, accoglienza, dialogo o cultura dell’accoglienza, una delle obiezioni più avanzate dagli scettici, è:

Fino a quando è giusto essere accoglienti? Quando invece si rischia di essere accondiscendenti dando spazio al non rispetto di principi di vita consolidati in una società? E quando, al contrario, si diventa culturalmente sordi e ciechi, ai limiti del discriminatorio, se non del razzismo?

Queste domande, veri quesiti esistenziali della convivenza tra culture contemporanee, sono quelle che regolano i rapporti tra autoctoni e migranti nei singoli Stati, ma soprattutto, da decenni, sono quelle che determinano gli equilibri della diplomazia internazionale, rendendo estremamente delicato il tema delle relazioni tra Paesi. Questi ultimi, infatti, a colpi di intese e accordi diplomatici, cercano di favorire “amicizie” e alleanze così da generare rapporti economici e sociali produttivi e distesi per tutti.

La convivenza tra culture e trovare il punto comune di partenza da cui far partire confronto e dialogo, è tutt’altro che facile.

Un esempio lampante di quanto finora detto è l’incidente diplomatico che il 6 aprile 2021 ha visto coinvolto Erdoğan, Presidente della Turchia che, ospitando ad Ankara la presidentessa della Commissione EU Von der Leyen insieme al presidente del Consiglio EU Michel, nella sala predisposta per l’incontro ha preparato solo due poltrone con la bandiera di rappresentanza lasciando impunemente in piedi e sola Von der Leyen. Qui per la notizia.

È stata una svista quella di lasciar in piedi Von der Leyen?

Assolutamente no. Dietro gli incontri diplomatici c’è un protocollo e un’organizzazione minuziosa di ogni dettaglio che prevede settimane, se non mesi, di preparazione e controllo: un accadimento di questo tipo non può verificarsi, se non espressamente voluto. Le motivazioni dietro un comportamento di questo genere da parte della Turchia potrebbero essere le più disparate: in buona parte riferibili al desiderio della Turchia di entrare nell’Unione Europea alle proprie condizioni misto alla concezione ancora molto diffusa, della donna vista come genere subalterno a quello maschile. In entrambi i casi, giustificazioni inaccettabili.

Ma perché se la nostra è una cultura che punta all’accettazione del diverso anche con i suoi usi e costumi seppur lontani dai nostri?

A seguito di quanto accaduto, oltre ad essersi sollevato un tumulto in tutta Europa, Von der Leyen tiene un importante discorso a Bruxelles in cui afferma:

Non si tratta di sedie o protocolli, questo tocca nel profondo chi siamo, questo tocca i valori che l’Unione Europea difende e dimostra quanta strada abbiamo ancora da fare prima che le donne vengano trattate da pari sempre e ovunque. Ovviamente so di essere in una posizione privilegiata, sono il Presidente di un’istituzione ampiamente rispettata in tutto il mondo […] Sappiamo tutti che migliaia di incedenti simili, la gran parte dei quali di gran lunga più gravi, passano inosservati, nessuno li vedrà mai […]. Dobbiamo assicurarci che queste storie vengano raccontate e che, una volta raccontate, si faccia qualcosa al riguardo. […] Porteremo avanti una legislazione per prevenire e combattere la violenza contro le donne e i bambini, online e offline. E proporremo un ampliamento della lista dei crimini EU stabiliti dal trattato in modo da includere tutte le forme di crimini d’odio, perché l’Europa deve mandare un segnale forte: i crimini d’odio non sono accettabili, perché dobbiamo assicurarci che donne e ragazze siano adeguatamente protette ovunque in Europa. Perché ciò che la vice presidente degli USA, Kamala Harris, ha detto recentemente alle Nazioni Unite è vero: “La condizione delle donne corrisponde alla condizione della democrazia”. […] In tutta Eu le persone devono avere gli stessi pari diritti e pari opportunità indipendentemente da chi amano, da dove vengono, dalla loro età e dalla loro fede. Perché questa è l’unione in cui credo, un’Unione che è all’altezza del suo motto UNITI NELLA DIVERSITÀ”.

È questo un discorso riconducibile all’intercultura portata avanti in Europa?

Assolutamente si. Probabilmente non ci sono ancora tempi maturi per trovare un equilibrio tra Europa e Turchia, nonostante questo, nonostante la cultura dell’accoglienza, nell’ottica dell’intercultura Von der Leyen non poteva non portare avanti una battaglia diplomatica di questa fattura.

Photo by Toa Heftiba

Alla base della costruzione del dialogo interculturale occorre trovare un terreno valoriale comune dal quale non si può mai prescindere. Ma qual è questo terreno valoriale comune?

I principi sanciti dalle Convenzioni e dai Trattati internazionali, prime fra tutte la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989.

Da queste, nessun Paese firmatario (la maggioranza dei Paesi del mondo, per fortuna) può prescindere, e nessuno dei Paesi non firmatari può pensare di bypassare poiché questi principi dettati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, sono quelli che dopo secoli e dopo due guerre mondiali in pochi decenni, reggono gli equilibri globali tentando di assicurare un sano sviluppo psicofisico ad ogni individuo, oltreché un futuro che ne rispecchi attitudini e desideri.

La vera sfida è che oltre l’impegno preso a livello normativo, per tante Nazioni mettere in pratica quanto firmato, è ancora un’impresa titanica per questioni tanto culturali quanto economiche.

Ed è qui che entra in gioco l’educazione interculturale che, nelle giovani generazioni in particolare, pone certezze e competenze concrete che permettono di muoversi nell’incontro con l’altro, riuscendo a capire fin dal principio da dove far partire il dialogo, verso quale direzione ed entro quali limiti muoverlo, quanto chiedere, pretende o semplicemente dignitosamente apprendere.

A presto,

Giancarla

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