Il concetto di gioco è stato oggetto di molteplici definizioni: ad esso si sono attribuiti altrettanti significati e funzioni, cambiando nel tempo e nello spazio in base a culture e ambiti territoriali differenti.
Frobel, Agazzi, Montessori e Dewey
In ambito pedagogico, il gioco inizia ad assumere un significato educativo a partire dall’Ottocento con Friedrich Frobel, un pedagogista tedesco che lo ritiene un’attività ludica seria attraverso la quale il bimbo realizza il proprio sviluppo servendosi di doni, ossia i giocattoli, che lo aiutano a scoprire la realtà.

Alla teoria di Frobel che considera il gioco in modo strutturato e funzionale, si oppongono le sorelle Agazzi, le quali ritengono che il gioco dovrebbe valorizzare la personalità integrale del bambino in compresenza con il lavoro, poiché non si limita ad aiutarlo a scoprire la realtà, ma ne stimola l’apprendimento favorendo socievolezza, autonomia personale, solidarietà, cooperazione e rispetto per l’altro. I giocattoli delle sorelle Agazzi, inoltre, non sono strutturati e ben definiti, ma un insieme di “cianfrusaglie” raccolte liberamente dei bambini, che hanno un elevato valore emotivo e affettivo.
Un ulteriore concetto di gioco e quello elaborato da Maria Montessori, che lo intende impegnato e concentrato, svolto con materiali destinati alle attività pratiche scientificamente costruiti, tenendo conto dei bisogni evolutivi e di organizzazione interiore del bambino.
Altro autore interessante è John Dewey, che considera il gioco come un’attività preparatoria, consigliando agli educatori di non esaurire l’attività ludica in arbitraria fantasticheria, ma di trasformarla gradualmente in attitudine al lavoro.
Il gioco come strumento di sviluppo cognitivo e socio affettivo
Il gioco è stato analizzato anche da Édouard Claparède all’inizio del XX secolo, ritenendo che le attività ludiche consentono al bambino di appropriarsi e rielaborare le proprie “potenzialità energetiche”. A evidenziare la funzione di sviluppo cognitivo realizzato dal gioco hanno contribuito inoltre, Piaget, Vygotskji e Bruner.
Secondo il primo, i bambini si servono del gioco per manipolare la realtà esterna adattandola alla propria motivazione e al proprio mondo interiore, così da acquisire fiducia in sé stessi. Successivamente, Vygotskij ha ripreso alcuni di questi concetti soffermandosi, in particolare, sui risvolti affettivi del gioco, ritenendo che esso abbia alcune funzioni emancipatorie:
- si presenta come atto di mediazione tra i propri bisogni e la realtà contingente;
- è un contesto liberatorio in cui il bimbo può separare il significato dall’oggetto reale, consolidandolo con l’uso del linguaggio;
- apre una “zona prossimale di sviluppo”, poiché giocando, il bimbo compie azioni diverse da quelle quotidiane favorendo così il proprio sviluppo.

Infine, Bruner , con le proprie ricerche, ha investigato sul rapporto tra il gioco e le strategie per lo sviluppo dei problemi, facendo emergere che la soluzione dei problemi dipende principalmente dalle tipologie di attività seguite per risolverli: in particolar modo le attività ludiche strutturate contribuiscono, ad esempio, allo sviluppo delle capacità di analisi, di pensiero critico e allo sviluppo e abilità argomentative; le attività ludiche meno strutturate favoriscono, invece, lo sviluppo e il rafforzamento delle competenze sociali.
Il gioco, come contesto di sviluppo di competenze relazionali e metacomunicative è inteso come realtà in cui si creano circostanze che permettono al bambino di immedesimarsi nelle situazioni richieste, acquisendo abilità comunicative successivamente trasferite applicate nella vita reale. Di fatto, il gioco svolge il ruolo di mediatore delimitando un’area intermedia tra il piano soggettivo e la realtà condivisa.
La funzione antropologica del gioco
Considerare il gioco come uno strumento di costruzione di cultura deriva dall’antropologia pedagogica di Johan Huizinga, che considera l’uomo sapiens, anche faber e ludens, ritenendo che tramite il gioco l’uomo sia in grado di costruire cultura. Tramite il gioco, così come afferma anche Margaret Mead, l’uomo è in grado di costruire significati culturali e tramite questi far emergere il Sé, confrontandosi con gli altri ed individuando differenze e somiglianze. Si può affermare quindi che il gioco non solo crea cultura, ma diventa anche contesto di incontro fra culture differenti e luogo di scambio volontario e di comunicazione.
Il gioco oggi, tra apprendimento e divertimento
Di fatto, tramite le varie concezioni pedagogiche susseguitesi nel tempo, oggi si è universalmente giunti ad una visione del gioco come di un momento essenziale della vita di ognuno; spingendo verso il rispetto delle regole e dall’altro, consente di prendere le distanze dalla realtà per costruirne un’altra dotata di altrettanta coerenza.
In concreto, a livello pedagogico, le diverse funzioni educative svolte dal gioco si sostanziano in:
- raccolta di informazioni sulle caratteristiche degli oggetti;
- conoscenza e scoperta delle cose e dei fenomeni che circondano il bambino;
- conoscenza e scoperta di sé e delle proprie capacità personali di intervenire nei confronti di elementi, fenomeni e situazioni;
- approccio al cambiamento, in quanto attraverso nuove scoperte è possibile trasformare le situazioni vissute;
- avvio all’esperienza della condivisione;
- creatività, intesa come capacità di combinare diversamente i dati.
Oltre alle funzioni educative, il gioco realizza alcune funzioni più specificatamente didattiche nel momento in cui esso si considera come:
- strumento di costruzione di cultura e intercultura;
- strumento di sviluppo cognitivo e socio affettivo;
- contesto di sviluppo di competenze relazionali e mezza comunicative.
Il gioco quindi, svolge diverse funzioni: di distrazione e divertimento, ma anche didattiche ed educative.

A tutte le età, è capace di offrire gioia allontanando dalla noia e dai dispiaceri della vita quotidiana: attraverso il gioco ci liberiamo di ogni costrizione, sentendoci più leggeri e felici.
A presto,
Giancarla.
Fonte: Cera R., Pedagogia del gioco e dell’apprendimento: riflessioni teoriche sulla dimensione educativa
del gioco, FrancoAngeli, Milano, 2009