Nei servizi educativi accade sempre di tutto, si sa. Per quanto si programmi e si progetti, c’è sempre un imprevisto a cui, grazie alla formazione, al lavoro di squadra e all’esperienza accumulata si riesce sempre a far fronte, rendendo educatori e pedagogisti (ma anche psicologi, assistenti sociali e non solo), veri e propri leader nel problem solving. O quasi.
In quel quasi, nostro malgrado è andato ad inserirsi il Covid, costringendoci durante la prima ondata del contagio ad un lungo lockdown con annesse chiusura di servizi e cassa integrazione per tanti colleghi, e nella seconda (pseudo terza) ondata a nuove e improvvise sospensioni di attività causa contagi, gettando gli operatori nello sconforto.
Cosa accade quando c’è un positivo in un servizio educativo
I protocolli sanitari riguardo ai casi di contagio all’interno dei servizi, dovuti e necessari per contenere il contagio e sperare di tornare al più presto alla normalità, sappiamo essere molto articolati, con quarantene preventive per tutti i soggetti coinvolti, tamponi, isolamento per i positivi, igienizzazione degli ambienti e sospensione di ogni attività fino a nuovo ordine della ASL di competenza.
Mentre tutto questo accade, trascorrono giornate, settimane, quasi mesi in cui le attività previste dal servizio, già limitate rispetto alla vita pre-covid, vengono totalmente bloccate o abbondantemente riadattate.

Certo, non pochi operatori si sono reinventati da remoto: iniziative lodevoli, sinonimo di grande amore per il proprio lavoro, con la consapevolezza però che una relazione d’aiuto passi principalmente attraverso dinamiche relazionali non verbali che online si perdono totalmente.
In questi giorni, dopo la fatidica telefonata che avverte della presenza di un positivo nel servizio, tra gli educatori prevale un sentimento di paura misto allo smarrimento che va dalla consapevolezza di dover avvertire tutti (famiglie degli utenti, tutti i colleghi, gli operatori tutti, ma anche collaboratori esterni, ipotetici volontari e… dulcis in fundo, le proprie famiglie) e sottoporsi in proporzione ai contatti avuti, in massa a tampone, alla miriade di attività in corso di svolgimento e già in programma da disdire, che improvvisamente, senza alcun preavviso, si dovranno sospendere, e in un secondo, in qualche modo, provare a rimodulare.
Vita da educatori in quarantena: il rischio burnout
In giorni come questi, sperando che il caso di positività trovato sia effettivamente solo quello già noto e non ce ne siano degli altri, i servizi educativi, pur fisicamente fermi, brulicano di telefonate, idee improvvise, ragionamenti sul da farsi, momenti di tristezza e di confronto e domande che si moltiplicano, non trovano il più delle volte risposta se non quella di avere pazienza, navigare a vista e attendere che le cose si evolvano.

In situazioni come queste, il senso di impotenza è molto forte, aumentando, nell’ipotesi in cui le chiusure e i casi di positività dovessero essere ricorrenti, il rischio di burnout dove a bruciarci paradossalmente non è il troppo lavoro nel senso letterale del termine, ma al contrario, la frustrazione di non poter lavorare perdendo entusiasmo.
Il continuo stravolgimento dei piani genera un forte, fortissimo stress psicologico a cui si aggiunge il meccanismo per cui rimanendo a casa e non avendo una sede con orari di lavoro ben precisi, si annulla ogni confine tra vita privata e lavoro, trovandosi a fare telefonate di lavoro con i colleghi di sera tardi, durante i pasti o di domenica, nella speranza di metabolizzare quanto si sta vivendo e smuovere le cose in qualche impossibile modo, le cose. Quando ad un educatore sospendono il servizio, lui diventa iperattivo, dedicando mentalmente al proprio lavoro ancora più tempo di quanto non ne dedicasse prima. Ma questo, come i nostri studi per analogia ci lasciano intendere, non è salutare.
Come affrontare la situazione?
La ricetta segreta non esiste, considerata anche la straordinarietà degli eventi ma, come è più saggio fare per un educatore quando si vivono momenti di crisi professionale, la risposta più adatta a noi è certamente nei cardini che muovo la nostra professione.
1. Il rispetto dei tempi naturali.
Qualsiasi siano i nostri utenti, sappiamo che nessuno mai potrà dettargli dei tempi per raggiungere determinanti obiettivi, ma saranno loro, quando saranno pronti o abbastanza maturi, a raggiungere naturalmente quell’obiettivo; e nel frattempo nei loro confronti noi dobbiamo agire con la consapevolezza e la fiducia che prima o poi, quell’obiettivo lo raggiungeranno.

Questa consapevolezza, alla base del sano lavoro di un educatore, nasce nel corso dei secoli da lunghe riflessioni filosofiche e attente osservazioni pedagogiche e noi, da bravi professionisti, non possiamo non applicare quanto previsto proprio a noi stessi e alla nostra stessa professione: sappiamo bene quali seri motivi ci sono dietro la sospensione del nostro servizio e struggerci iniziando a fare conti alla rovescia, arrabbiarci per quanto accaduto o peggio che mai, prendercela con il povero malcapitato risultato positivo non solo è infruttuoso ed estenuante, ma anche poco professionale e un tantino anti-deontologico. Il servizio è sospeso, non è colpa di nessuno, siamo in una pandemia e voi dovete rimanere a casa per tot. di giorni, fatevene una ragione. Entrare in lutto e prendersela con il mondo non vi aiuterà, approfittatene invece per rimanere riguardati rispetto alle direttive sanitarie a voi indirizzate e dedicatevi a tutto ciò che normalmente trascurate.
2. Recuperiamo dalla stanchezza accumulata, non sovraccarichiamoci di altro stress inutile.
Chiunque, qualsiasi educatore con cui si parli da un anno a questa parte, afferma di essere estremamente sotto stress, non tanto fisicamente quanto mentalmente perché il lavoro svolto è già per natura molto delicato e l’aggiunta di doverlo svolgere in epoca-Covid non fa che complicare le cose.
Approfittiamo di questa pausa forzata per riposare. Non imbarchiamoci in iniziative volte a tenere in piedi il servizio se non realmente utili e fattibili. Per esempio: se abbiamo un asilo nido, non inventiamoci l’idea di leggere le favole in videoconferenza a tutti i bambini del gruppo, aggiunge poco valore al vostro lavoro, i bambini non vi vedono e fanno fatica a starvi dietro attraverso uno schermo perché un conto è vedere un cartone animato in tv o sul tablet, prodotto studiato da professionisti ad hoc per essere trasmesso sugli schermi, un conto è sentire voi che vi improvvisate dietro uno schermo, leggendo senza microfono, con i rumori di sottofondo e il partner che passa di soppiatto alle vostre spalle. Date retta a me, risparmiate le energie, sdraiatevi e leggete bel un libro.

3. Portiamo avanti solo iniziative che diano un valore aggiunto al nostro lavoro e che possano rimanere in piedi anche dopo la riapertura.
Tutt’altro discorso è se invece ci impegniamo in attività che non siano solo dei passatempi per combattere la nostra tristezza, ma cose che migliorino la qualità del nostro lavoro. Per esempio, sebbene il lavoro dell’educatore poco si sposi con il digitale, intorno ai servizi educativi girano molte attività fattibili da remoto e che migliorano la qualità del servizio stesso.
Approfittiamo di questo momento magari per realizzare o migliorare il sito del nostro Nido, Centro Giovanile ecc. miglioriamo le nostre competenze digitali, impariamo a gestire in modo più fruttuoso le pagine social del nostro servizio, impariamo a fare foto migliori che lo pubblicizzino, impariamo a montare video più elaborati; del resto ormai una buona parte delle persone scopre un servizio cercandolo su internet anche solo per farsi un’idea, miglioriamone l’immagine online è quanto appreso sarà tutto di guadagnato anche per il futuro. E per i nostri utenti, migliorate le nostre competenze digitali, inviamo loro video di saluto o con attività da svolgere da casa e perché no, mantenere i contatti con qualche video chiamata di gruppo ci sta sempre bene.
Poi, aggiungere a tutto questo una buona masterclass da remoto o una serie di libri volti alla nostra formazione continua non è mai una cattiva idea!
4. Coltiviamo i rapporti con il nostro team, équipe, gruppo di lavoro.
Spesso tra colleghi si parla tanto, ma solo di lavoro, non riuscendo mai a conoscersi mai davvero. Approfittiamo del tempo in più per intavolare un discorso che esuli dalla vita lavorativa, prendiamo appuntamenti telefonici e se possibile anche di persona facendo due chiacchiere che ci permettano di conoscerci al di là dell’essere solo colleghi.

Certo, non è detto che tutti i nostri colleghi debbano essere anche amici e mischiare amicizia e lavoro non è facile né sempre una buona idea, ma l’entrare in sintonia con chi collabora con noi al raggiungimento di obiettivi di rilievo come l’educazione di altri esseri umani, è imprescindibile: è veramente triste quando, dopo aver lavorato tanto assieme per la trasmissione di certi valori di vita comunitaria, giunge al nostro orecchio una notizia eclatante e inaspettata sulla vita di un collega, cadendo dalle nuvole e rendendoci conto che nonostante i tanti giorni trascorsi insieme, di quella persona non sappiamo nulla. È un fallimento personale e professionale. Quindi, nei momenti di stallo lavorativo, approfittiamone per condividere qualcosa di noi con i nostri colleghi, magari iniziando dalle emozioni condivise che la sospensione del servizio genera, saranno terreno comune di conversazione con tutto il team. Per dirla in termini più professional, sfruttiamo questo momento per fare team building.
La sospensione improvvisa e inaspettata di un servizio causa Covid è per ovvie ragioni un momento di forte crisi generale che può gettare nella tristezza più assoluta sostenuta da senso di impotenza e paura per il futuro. È un momento di crisi professionale a tutti gli effetti a cui nessun educatore dei giorni nostri è mai stato preparato e sapere come affrontarlo o prepararsi ad esso è impossibile.
Ciò che possiamo impegnarci a fare però, in virtù delle certezze acquisite attraverso studio ed esperienza è tentare di mettere in pratica quanto spesso rammentiamo ai nostri utenti, rispolverando quanto sappiamo sulla cara resilienza, consapevoli che, se vorremo, dal momento di crisi non solo usciremo cambiati, ma certamente migliori. Dipende tutto da noi.
A presto,
Giancarla.