Cos’è l’apprendimento? Rispolveriamo un po’ di teoria

L’apprendimento, croce e delizia di educatori, psicologi e medici e vera preoccupazione per molti genitori, è spesso oggetto di lunghe discussioni per non dire accesi dibattiti tra professionisti, cambiando spesso concezione in base alla corrente pedagogica a cui si fa riferimento. Dunque, venendo al sodo, che cos’è l’apprendimento? Di seguito proveremo a fare un excursus sulle principali teorie psicopedagogiche di riferimento.

Photo by Kuanish Reymbaev

Una definizione di apprendimento

L’apprendimento si identifica come un processo che coinvolge la dimensione cognitiva, affettiva, razionale, mentale e motivazionale di un soggetto sviluppandosi per l’intero arco della sua vita.

L’apprendimento realizza cambiamenti relativamente permanenti che si verificano anche in relazione alla maturazione del soggetto e della condizione del suo organismo (ma non solo), e il loro esito è da ricondurre in buona parte alle esperienze da lui vissute durante il proprio percorso esistenziale.

Parlando di apprendimento occorre fare riferimento al concetto di conoscenza.

Un importante modello di riferimento è quello proposto da J. H. Flavell, che ritiene che si possa distinguere tra conoscenza dichiarativa e conoscenza procedurale, identificando la prima come tutti i dati riferibili alla memoria a lungo termine, e la seconda come i processi di consolidamento del sistema cognitivo.

Photo by Ryan Wallace

Al concetto di apprendimento sono strettamente collegati anche quelli di metapprendimento e metaconoscenza, riconoscendo il metapprendimento come l’apprendere ad apprendere e la metaconoscenza come la conoscenza dell’azione stessa del conoscere.

Il processo di apprendimento tra comportamentismo e cognitivismo

Molteplici sono state le correnti di pensiero che a partire dai primi anni del Novecento hanno analizzato il processo di apprendimento, tra le più importanti il comportamentismo, il cognitivismo e il post cognitivismo con costruttivismo, contestualismo e culturalismo.

Non condividendo il metodo dell’introspezione di Wundt, Watson e Thorndike hanno sviluppato un pensiero alternativo che prevedeva lo studio dell’esperienza conscia per comprendere il funzionamento della memoria e dell’apprendimento, dando così rilievo all’osservazione e allo studio del comportamento umano osservabile. Secondo tali autori, l’apprendimento si manifesta attraverso la trasformazione del comportamento osservabile al di là di ciò che accade concretamente nella mente dell’individuo. Di conseguenza l’apprendimento si caratterizza per essere l’esito dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente che, con i suoi stimoli, induce il soggetto a reagire e a modificare il proprio comportamento sulla base dei nuovi dati acquisiti. In virtù dell’oggetto di indagine di questi autori, tale corrente di pensiero prende il nome di comportamentismo.

Photo by Bethany Ballantyne

In riferimento al cognitivismo, al contrario del comportamentismo, l’attenzione è posta allo studio dei processi mentali, considerati come qualcosa ancora da esplorare ed approfondire. Sono proprio questi ultimi che determinano e influenzano l’apprendimento tramite l’acquisizione, la trasformazione e il trasferimento delle informazioni (rappresentazioni mentali).

Il post cognitivismo: costruttivismo, contestualismo e culturalismo

In merito al post cognitivismo, invece, l’attenzione è da porre sulle influenze che i processi culturali, spaziali e sociali esercitano sul funzionamento della mente umana.

Alla corrente post cognitivista appartengono costruttivismo, contestualismo e culturalismo; identificando nel primo riferimenti teorici di Piaget, in particolar modo il concetto di “costruttivismo genetico” secondo il quale all’origine della conoscenza vi è proprio l’interazione tra il soggetto e l’oggetto che, incontrandosi, rendono possibile l’emergere della conoscenza stessa.

Photo by Jonathan Borba

In tale circostanza, il soggetto vive un ruolo attivo di adattamento ai contesti ambientali in cui apprende, e gli stessi processi di apprendimento risultano essere impegnati nella costruzione del mondo. Per Piaget la mente umana che organizza il mondo e la principale attività dei processi mentali stà nel creare condizioni favorevoli all’intrattenimento di relazioni attrattive con il mondo stesso.

In merito al contestualismo, tra gli autori principali si annoverano Wenger e Lave che ritengono che l’apprendimento risieda nell’ambito di specifiche forme di compartecipazione sociale, interrogandosi sulle forme di partecipazione che favoriscono un contesto per lui appropriato. In concreto l’apprendimento si identifica con un processo che si verifica all’interno di un preciso contesto socio culturale.

Il culturalismo riconducibile al pensiero di Vygotskij, considera invece l’apprendimento come un processo che si modella sulla base di contesti sociali e culturali condivisi. In particolar modo, Bruner ritiene che sia attraverso le esperienze interpersonali che l’individuo realizza le prime basilari competenze che in seguito interiorizzerà attraverso il pensiero ed il ragionamento. Si tratta quindi dell’utilizzazione di specifici strumenti culturali denominati “amplificatori culturali” che consentono al soggetto di sviluppare e potenziare le proprie capacità.

Photo by 🇸🇮 Janko Ferlič

L’apprendimento in età infantile

Le teorie sviluppate fino agli anni ‘50 del Novecento hanno messo in discussione il tradizionale modo di considerare l’istruzione come un’attività passiva e basata principalmente sulla memorizzazione meccanica di contenuti. È in questa fase del secolo che nascono le “scuole nuove”, luoghi in cui l’educazione si identifica come un’attività attiva volta a considerare l’infanzia come un’età pre-intellettuale e pre-morale, durante la quale i processi cognitivi si intrecciano all’operare e al dinamismo, sia motorio che psichico, del fanciullo.

Di fatto quindi, con le scuole nuove, riconducibili alla corrente dell’attivismo pedagogico, il ragazzo diviene il protagonista principale del proprio processo d’apprendimento alla cui base si riconosce la valorizzazione del fare e, in generale, dell’esperienza diretta con attività manuali, di gioco e di lavoro, dando sfogo alla creatività e alla libertà di organizzare le proprie conoscenze.

Scuole nuove: Maria Montessori, Rosa Agazzi e John Dewey

Tra i principali autori italiani riconducibili all’attivismo pedagogico ritroviamo Maria Montessori, la quale con il suo metodo, cercò per la prima volta di studiare in modo sperimentale la natura del fanciullo ponendo attenzione principalmente alle sue attività senso motorie.

Photo by Shirota Yuri

Un altro contributo importante alla conoscenza del funzionamento dei processi di apprendimento durante la fanciullezza è rinvenibile in Rosa Agazzi che propone un metodo pedagogico didattico meno rigido rispetto a quello della Montessori, ma ipotizza una scuola dell’infanzia basata sul principio di continuità tra il clima familiare e la vita all’interno dell’asilo. In tal modo l’educatrice dell’asilo assume un ruolo molto simile a quello materno proponendo attività didattiche libere, non preordinate, ma che si svolgano in un ambiente ordinato al cui mantenimento sono tenuti gli stessi alunni. L’innovazione del metodo dell’Agazzi è però da rinvenire nel materiale didattico che, al contrario del materiale scientifico definito dalla Montessori, deve basarsi su un insieme di “cianfrusaglie”, oggetti più o meno significativi che i bambini introducono a scuola dall’esterno, organizzando e allestendo un “museo” all’interno dell’aula.

Altro autore rilevante nel mondo pedagogico novecentesco è John Dewey che, ispirandosi al pragmatismo, ritiene fondamentale per l’apprendimento dei ragazzi il collegamento tra attività didattica teorica e pratica. Secondo lui la vita dei ragazzi va posta al centro dell’interesse scolastico e dell’attività didattica, ritenendo che sia compito della scuola porre la giusta attenzione ai quattro interessi fondamentali: la conversazione o comunicazione; l’indagine con la scoperta delle cose; la fabbricazione o la costruzione delle cose e l’espressione artistica.

Photo by Jordan Whitt

Attraverso lo sviluppo di questi interessi, che concretamente avviene tramite l’allestimento di specifici laboratori pratici, Dewey ritiene che la scuola debba primariamente aprirsi alla società, mutando anche il ruolo del maestro nei processi di apprendimento. Quest’ultimo diviene colui che osserva e anima le attività scolastiche e didattiche incentivando l’educazione cognitiva. All’origine del nuovo modello di insegnamento si ipotizza un curriculum di studi alla cui base si ha la scienza, poiché essa favorisce lo sviluppo dell’intelligenza, del pensiero critico e delle capacità utili alla soluzione dei problemi.

Quanto fin qui raccontato di fatto non esaurisce l’argomento né ha la pretesa di farlo, ma vuole essere un’iniziale infarinatura utile a chi incuriosito e alle prime armi o esperto e desideroso di un rapido ripasso. Spero per questo l’articolo possa tornarvi utile.

A presto,

Giancarla.

Fonti:

Cera R., Pedagogia del gioco e dell’apprendimento: riflessioni teoriche sulla dimensione educativa del gioco, FrancoAngeli, Milano, 2009.

Munari A., Il sapere ritrovato. Conoscenza, apprendimento, formazione, Guerini e associati, Milano, 1993.

Lave J.- Wenger E., L’apprendimento situato (1961), Erickson, Trento, 2006.

Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Bari, 2005.

Tassi R., Itinerari pedagogici: il Novecento, Zanichelli, Bologna, 2003.

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