Un sentimento nobile, tipico dell’età adulta, frutto di riflessione e coscienza di sé è il provare stima. Si può provare stima per sé stessi, per il proprio partner, per amici e parenti ma anche, nei casi “più onesti”, per colleghi o persone conosciute solo per le proprie opere.
Il provare stima è un sentimento non da tutti, frutto di maturità emotiva ed intellettuale, basato su autostima e lucidità, fondato su una personalità le cui basi sicure si pongono fin dalla prima infanzia.
Chi prova stima nei confronti degli altri ha sviluppato un’identità tale da riuscire a distinguere che le qualità positive riscontrate negli altri non minano le proprie, rifuggendo invidia e gelosia, preferendo invece ammirare i talenti altrui in modo disinteressato.
Tali capacità di elevata sensibilità, ancora lontane dalle competenze sociali di molti individui, sono un passo avanti rispetto all’evoluzione umana che, se adeguatamente apprese, potrebbero migliorare notevolmente la qualità della vita sulla Terra.

Dell’importanza del provare stima in verità si parla da tempo. Riferimenti a questo sentimento si trovano già negli scritti dell’Antica Roma che la consideravano determinante nei confronti di uomini e popoli per stringere alleanze politiche, ma anche nella Bibbia e nelle opere di diversi scrittori come Jane Austen che considerava la stima alla base di ogni relazione amorosa duratura. Un sentimento dunque, tanto sottile quanto determinante per il successo di ogni genere di relazione ma anche per la serenità psicologica di chi riesce a viverlo. Ma come favorirlo?
Lavorare sull’autostima fin dall’infanzia.
La psicologia dell’Università della Vita ci ha insegnato che se non si sta bene con sé stessi, non si può stare bene con nessuno: nulla di quanto più vero. Ed ecco che, prima di poter provare stima verso gli altri occorre avere una sana dose di stima per sé stessi.
Il percorso verso l’autostima inizia fin dall’infanzia quando, come ci insegna Bowlby, le figure di riferimento iniziano ad instaurare nei confronti del bambino una relazione sicura, basata su affetto espresso fisicamente, verbalmente e psicologicamente, con forme di supporto materiale ed emotivo costanti ogni qualvolta il bimbo ne abbia bisogno. Detto in parole povere, se c’è un momento in cui le coccole tra mamma/papà/nonni e bambino non bastano mai, sono i primi anni di vita. Non date retta a chi vi dice che “si viziano”, l’amore non vizia. Se non ci si abbandona all’amore dei propri cari durante l’infanzia, quando farlo? “Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati” scrisse Don Bosco, è non si può non condividere la profondità di queste parole.

Nel percorso verso la costruzione dell’autostima, la presenza costante di amore, non è da confondere con l’iperprotettività: le figure di riferimento devono essere le prime a provare stima nei confronti dei loro figli e delle loro capacità, lasciando che sperimentino e si mettono in gioco, anche se questo volesse dire guardarli cadere. La fiducia in sé stessi non nasce dall’essere costantemente sorretti, ma dal rialzarsi da soli sapendo che, qualora fosse necessario, ci sarà sempre la mano di mamma o papà ad aiutarci a tirarci su, ma a fare principalmente leva è sano che sia sempre il bambino. Sia in senso metaforico che materiale. Quindi autostima= consapevolezza dell’amore incondizionato dei propri cari+ autonomia nel vivere la propria vita con la licenza di compiere errori ed imparare da essi.
Superata la fase dell’infanzia e della fanciullezza, inizia l’adolescenza in cui non si ha la maturità psicologica per gestire ogni travolgente emozione vissuta ma si prende coscienza dell’esistenza di altre persone, iniziando a vivere importanti momenti di conforto e a relativizzare la propria vita.
L’adolescenza finisce con il raggiungimento della maturità quando, formatasi una propria scala di valori etico-morali, si comincia a vivere la vita secondo principi-guida, dando un significativo peso all’agire altrui.
In questa fase, se la formazione sana dell’autostima durante l’infanzia è stata ulteriormente sostenuta da importanti momenti di confronto con gli altri (coetanei e figure di riferimento), si inizia ad essere in grado di attuare una visione della vita tipica dell’età adulta, in cui, in modo oggettivo, si analizza la situazione che si sta vivendo. In questo momento, raggiunta la maturità, si vivono le prime sfide esistenziali importanti date dalla scelta della carriera universitaria o lavorativa, da relazioni sentimentali più serie, dai i primi progetti a lungo termine e dalle prime scelte di vita di peso: si prendono le prime decisioni in grado di segnare per sempre la vita di un individuo. In questo stato emotivo e mentale non è raro che si facciano le prime esperienze di vita fuori casa, magari da soli e/o lontano dai propri cari, misurandosi con se stessi e trovandosi a riflettere molto.

Da questa lunga fase di crescita interiore, alimentata dalle prime esperienze di vita adulta, il confronto e soprattutto l’empatia che si prova per gli altri sono all’ordine del giorno e diventano più profondi, comprendendo sfumature della vita altrui che fino a quel momento non si erano notate.
É così che vedendo i grandi sforzi impiegati da qualcuno per raggiungere un obiettivo che, in modo intellettualmente onesto, si inizia ad essere felici per quella persona, si pensa che il suo successo sia del tutto meritato e si prova stima.
La stima dicevamo essere un sentimento nobile ed intelligente perché guarda oltre lo stato attuale delle cose apprezzando dettagli ulteriori non chiaramente visibili al comune occhio umano. Non visibili ai più. Prevede una conoscenza profonda della persona che si ha di fronte, tale da capirne modalità di pensiero e motivi alla base del suo agire, talmente chiari da arrenderci psicologicamente al suo talento riuscendo a mettere da parte ogni invidia.
Se l’odio è l’opposto dell’amore, l’invidia è l’opposto della stima.
La stima è consapevolezza di sé e del proprio valore sapendo che esso non dipende dagli eventi fortunati che viviamo, ma dal modo in cui ad essi reagiamo e che in questo, l’agire altrui spesso non ha alcun potere – almeno non l’agire di persone per cui invece di provare stima, per cecità intellettuale proviamo invidia. L’invidia infatti è figlia di insicurezza personale e di inconsapevolezza rispetto al potere decisionale non indifferente sul proprio destino, le uniche in grado davvero di influenzare il corso delle nostre vite.
Si può imparare a provare stima, predisponendosi ad essa.
La stima non è immediata, ma abbiamo detto nascere da un lungo processo di maturazione interiore affiancato dalla profonda conoscenza della persona che si ha difronte, nonostante questo, in modo consapevole e in età adulta si può provare a predisporsi a provare stima.

Quando per qualcuno proviamo d’istinto invidia, ma ascoltando la nostra coscienza comprendiamo trattarsi di un problema tutto nostro perché chi abbiamo davanti è qualcuno meritevole che non necessita di essere punito con la nostra invidia, sta a noi accettare che dobbiamo impegnarci strenuamente per cambiare atteggiamento.
È una questione di razionalizzazione degli eventi e di riflessione sulle conseguenze delle proprie azioni.
1. Dobbiamo partire da una domanda cruciale: cosa ci suscita invidia?
Se a renderci invidiosi è l’obiettivo raggiunto dall’altro che vorremmo raggiungere anche noi, dobbiamo capire che sputare veleno non toglierà successo all’altro per darlo a noi, ma ci incattivirà e distoglierà dal nostro obiettivo di successo.
2. Se il nostro oggetto del desiderio è l’obiettivo da raggiungere, il pensiero da alimentare non è quello rabbioso ma un unico e solo: cosa posso fare io per raggiungere quell’obiettivo? E qui entra in gioco la stima.
Abbiamo detto che provare stima vuol dire vedere oltre, riuscire a cogliere le sfumature e i dettagli dietro il raggiungimento di un obiettivo conoscendo approfonditamente una persona. Se invece di coprirci con la corazza dell’invidia proviamo ad aprirci e a gioire della felicità altrui per quella che è, ci metteremo sull’onda della persona di successo e agganceremo la sua felicità. La gioia condivisa porta gioia individuale, crea vicinanza e comunione favorendo uno scambio costruttivo. Nulla ci vieta, complimentandoci sinceramente, di chiedere come si sia raggiunto quell’obiettivo. Nulla ci vieta di chiedere chiarimenti o chiedere aiuto e nulla, al contrario di quanto si pensi, rende le persone più felici del sentirsi utili agli altri: più di quanto di possa immaginare, provando sincera stima per qualcuno (attenzione, sincera, non interessata con doppi fini), questo qualcuno sentendosi stimato, avrà piacere a condividere con noi pensieri e riflessioni utili anche per il nostro futuro.
La stima non è opportunismo celato da un sorriso.
La stima è apertura emotiva e psicologica, è vicinanza empatica che non può essere falsificata perché le corde emozionali toccate sono talmente profonde che l’istinto di chi abbiamo davanti smaschera subito. Si tratta di una forma di umiltà talmente nobile che ammirando l’altro, ci permette di apprendere da lui, migliorare a nostra volta e tendere inconsapevolmente verso gli agognati obiettivi di vita.

Il direttore d’orchestra e jazzista Duke Ellington durante un’intervista doppia con il collega Leonard Bernstein, nel 1966, parlando del modo in cui i giovani possono apprendere l’amore per la musica disse “Se ammiri il lavoro di qualcuno, ne assorbi un po’ anche tu”, riassumendo appieno il concetto di stima che qui si è voluto esprimere.
A presto,
Giancarla.