Uno dei metodi di lavoro più appaganti ed efficaci in educazione è senza dubbio il lavorare in équipe, ossia lavorare in contesti in cui, insieme ad altri professionisti di relazioni d’aiuto, si coopera per raggiungere uno o più obiettivi per uno stesso utente o gruppo di utenti. Altrettanto interessante, ma forse meno stimolante, è il lavoro in team, ossia un gruppo di lavoro formato esclusivamente da educatori. In entrambi i casi a farla da padrone, in parallelo all’incontro tra diverse professionalità, si ha l’incontro tra diverse professionalità che, senza nascondersi dietro un dito, non è sempre facile.

Una malattia molto comune nei gruppi di lavoro è la presenza di un So-tutto-io, da non confondere con il leader.
All’interno di un gruppo, qualsiasi sia la sua natura fondante, è fisiologico che la sinergia tra personalità faccia sì che, se non definiti esplicitamente per questioni giuridiche o contrattuali, nel giro di poco si identifichino implicitamente alcuni ruoli ben precisi. Tra questi, quelli del leader e degli operativi. Il primo, più portato alla gestione, al coordinamento e al mantenimento della lucidità durante il lavoro, i secondi più propensi all’azione in quanto tale, portati certamente a dare il loro apporto intellettuale, ma più al perseguimento pratico dell’obiettivo comune, e meno alla gestione del gruppo in quanto tale.
Tali ruoli, tutti fondamentali, si definiscono in modo naturale in base all’affermarsi di equilibri interni: si tratta di un processo di formazione in cui il leader, per il raggiungimento dell’obiettivo del gruppo, non è mai autoritario, ma, se di esperienza e meritevole, sempre autorevole e democratico, altrimenti l’essenza stessa del gruppo si perderebbe.
Diversa è la figura del So-tutto-io che non è un ruolo fisiologicamente riconosciuto nel gruppo ma che, in modo disfunzionale, è spesso presente.
Con tale locuzione si fa riferimento a quelle personalità che, pur non vedendosi riconosciute in alcun modo il ruolo di leader, si sentono depositarie di conoscenze superiori rispetto agli altri che, anche nel caso fosse vero, non riescono a trasmettere in modo fruttuoso, ma entrano a gamba tesa nel lavoro altrui senza che l’altro abbia chiesto nulla o ne abbia davvero bisogno. Così facendo, il So-tutto-io scombina il lavoro altrui nella convinzione di essere nella posizione di doverlo o poterlo fare, correggendo o richiamando il collega perché, a suo dire, non sta agendo bene.

Forse, per usare un termine più corretto, sarebbe meglio parlare di colleghi saccenti, ma come affrontarli?
In molte Guide ai So-tutto-io si suggerisce come prima cosa di essere comprensivi in quanto il collega saccente in verità è una persona insicura che, tentando di convincere gli altri che il suo agire è il più giusto, cerca di convincere se stesso. Personalmente non ritengo che in un contesto come quello delle relazioni d’aiuto tale strategia sia applicabile poiché il focus è giusto e doveroso che rimanga su ragazzi, utenti e pazienti e iniziare percorsi di meta-psicopedagogia tra colleghi, mi sembra fuorviante. Dunque, a meno che non sia il collega in questione a chiedere aiuto, in lavori già normalmente psicologicamente usuranti, la strada della comprensione, per un discorso di salvaguardia personale, la escluderei categoricamente, passando direttamente al secondo – mio primo – punto: scegliere le proprie battaglie.
- Scegliete le vostre battaglie e ignorate tutto ciò che potete. Ci sono situazioni in cui il saccente fa capolino dal nulla mentre siete nel bel mezzo del lavoro e vi chiede con tono poco simpatico “perché stai facendo così? Perché non fai x? Potresti avere y e bla bla bla” all’infinito. In questo caso, se potete, ignorate. Spegnete il cervello, non ribattete neanche, ma rispondete con uno sterile ma non combattivo “Perché mi trovo meglio così”, e riprendete il lavoro. Se continua, fatelo parlare, non rispondete nulla, quando vi chiederà “ma mi ascolti?!” voi rispondere “Eh?! No, scusa, ero concentrato, ne riparliamo dopo” e ovviamente quel dopo farete in modo che non arrivi mai, anche perché certamente accadrà qualcos’altro con qualcun altro che attirerà l’attenzione del saccente.
- Cercate uno scambio maturo: armatevi di argomenti ben sostenuti, ponete domande approfondite e fate critiche costruttive. Nel caso in cui vi rendeste conto che la critica che vi sta facendo per voi è veramente sbagliata, rispondete! Con educazione, senza alzare i toni, senza cercare chissà quale scontro, ma rispondete e dite la vostra. Fa parte del dialogo tra adulti che al ricevimento di una critica si trovi la forza di sostenere la propria posizione e anche il vostro interlocutore, dopo avervi mosso la critica, dovrà essere pronto ad ascoltarvi, altrimenti sarà come aver a sua volta taciuto acconsentendo alla vostra risposta. Ma ricordate: la risposta deve essere intelligente, pensata e ponderata, non un’ascia di guerra. Rimate focalizzati sull’obiettivo di lavoro.
- Conservate l’umorismo e l’autoironia. Una sana risata allenta ogni tensione, soprattutto se non sottende una frecciatina, ma la sola voglia di alleggerire gli animi. Se siete una persona naturalmente simpatica, le critiche del collega saccente sono l’occasione perfetta per dare sfogo ai vostri tempi umoristici e staccare un attimo dal rigore del lavoro.
- Parlatene con il vostro Coordinatore, Responsabile ecc. Nel caso in cui tra colleghi non si riesca in alcun modo a superare la questione e il lavoro rischia davvero di essere compromesso, parlarne con il diretto Superiore prima di esplodere in liti inopportune tra colleghi, può essere un’ottima soluzione poiché, con il modus da buon padre di famiglia che dovrebbe sempre avere un Responsabile, probabilmente avrà le competenze e gli strumenti per riportare il sereno nel gruppo in modo efficacie ed efficiente. Inoltre, in alcuni contesti socio-psico-pedagogici particolarmente delicati, riportare al Responsabile tutto ciò che può minare il lavoro del gruppo diventa un dovere deontologico.
- Date il buon esempio. Se state leggendo questo articolo in parte è perché avete in mente un collega ben preciso che evidentemente mal soffrite. Quello che vi posso dire però è che, prima di muovere qualche critica nei suoi confronti, dovete domandarvi se lo stesso difetto che vedete in lui non sia anche il vostro. In questo caso ricordatevi che non potete pretendere dagli altri quel che non concedete voi. Fatevi un esame di coscienza e cercate di capire se l’agire dell’altro più che un’azione non sia una reazione.
- Apritevi a nuove opinioni. Per quanto il collega saccente sia pesante, a volte può avere ragione. Cercate di non agire per partito preso alzando gli occhi al cielo non appena si avvicina, ma provate, se l’argomento vi interessa, non solo a sostenere la vostra sacrosanta tesi, ma anche ad ascoltare con meno emotività ciò che lui vi dice. Per quanto irritante, a volte potrebbe essere motivo di miglioramento.

I rapporti tra colleghi o forse sarebbe meglio dire tra persone, non sono mai facili, in nessun campo, a nessuna età, sia per gli uomini che per le donne, e, sebbene in molti sostengano che i colleghi non possano e non debbano diventare amici (io non la penso così), di fatto con loro si instaura una quotidianità che spesso supera il tempo trascorso con la maggior parte dei familiari. Questo favorisce l’innescarsi di meccanismi di grande confidenza che, se da un lato portano ad una maggiore comprensione reciproca, dall’altro conduce ad una trasparenza tale che lascia spazio a informalità, goliardia, ma che non nasconde neanche malcontento, nervosismo e indisposizione, e gestire queste dinamiche simil-domestice richiede grande sforzo. Tuttavia, a mio avviso, tale sforzo, la voglia di confronto e miglioramento, alla lunga portano i loro frutti nonché la consapevolezza di trovarsi in un contesto di lavoro sincero in cui, professionalmente parlando, potersi sentire a casa.
A presto,
Giancarla.
Fonti: La mente è meravigliosa; Psico.it.