Caro Educatore, ricordati di vivere e lasciar vivere all’insegna della qualità

La professione di educatore conduce la persona che la svolge ad identificarsi con la professione stessa come accade in molte altre professioni d’aiuto. Per questo motivo, ormai è risaputo che chi svolge tale professione non non “fa l’educatore”, ma “è un educatore” con un’identificazione che non ha mai fine, né quando termina l’orario di lavoro né quando si è in ferie, si è lontano dalla propri sede di lavoro o si va in pensione. Chi è un educatore, lo è sempre seppur si dedichi ad altro; sente una costante responsabilità che lo conduce – si spera – a svolgere una vita coerente con i valori della professione e ancor più con quelli che tenta di trasmettere all’interno del Servizio in cui opera.

Photo by You X Ventures

Chi è un educatore seppur consapevole che il lavoro non vada portato a casa e che sia giusto scindere emozioni, momenti e relazioni per salvaguardare la propria vita personale e scongiurare il rischio di Burn out, non lavora con i numeri, ma con le persone e tutto il suo lavoro si basa su rapporti di fiducia, confidenza e correttezza e domandarsi, anche al di fuori dell’orario di lavoro, come questi possano essere salvaguardati e migliorati, diventa parte integrante della formazione e della crescita personale.

Forse dedicare ogni giorno un momento di riflessione alla propria giornata lavorativa con maggior calma e distacco emotivo rispetto agli avvenimenti vissuti, può essere un ottimo compromesso per metabolizzare e portare avanti in modo salubre lavoro e vita personale senza rischiare di bruciarsi.

Gli educatori non sono infallibili

Nonostante questo, gli educatori sono sempre in prima linea, in azione, inarrestabili soprattutto nei momenti di crisi del proprio Servizio, quando sono richiesti uno sforzo fisico e mentale maggiore. Gli educatori non si fermano mai e si sentono intimamente in colpa se non riescono a stare dietro a tutto… e a tutti.

Photo by Jessica Da Rosa

Sulla carta un educatore sa che non deve strafare, ma in concreto ha sempre la testa rivolta a mille nomi, persone e dinamiche cercando di far quadrare ogni tassello, provando a non scontentare nessuno, spesso mettendo da parte se stesso commettendo un grave errore: è proprio lì dove si mette da parte se stessi che, oltre a dare un cattivo esempio agli utenti, si insinua il rischio di Burn out.

A volte ci rifugiamo nella routine, nella quotidianità e nella tradizione per comodità avvertendole come un rifugio, eppure non è raro che diventino fonte di ulteriore stress costringendoci a stare dietro a standard che non sono i nostri e che non corrispondono più ai veri bisogni degli utenti. Il risultato è un dispendio insensato di energie accompagnato dall’insoddisfazione dei nostri utenti che continuano ad avanzare richieste in forma esplicita ed implicita manifestando nervosismo ed insofferenza.

Educare vuol dire rispettare i bisogni altrui

Essere un educatore, secondo la tradizione montessoriana e non solo, non vuol dire inculcare competenze socio-culturali in qualcuno perché senza di noi non potrebbe crescere ed imparare “cose utili”, ma assecondare il naturale sviluppo di un bambino, più in generale di un individuo, in modo che le domande che inconsciamente si pone possano trovare una risposta consona alla sua maturazione psicofisica in modo che questa avvenga in modo sano, armonioso e coerente con le sue inclinazioni.

Photo by Paige Cody

Quanto detto, nel quotidiano di un educatore, soprattutto nei momenti di maggiore crisi come può essere la necessità di contrastare la pandemia da Coronavirus, significa non trasformarsi in un giocoliere proponendo mille attività tentando di portare avanti una quotidianità inopportuna e potenzialmente stantia, ma fermarsi e rimettersi in ascolto di colleghi ed utenti per proporre una “normalità” più consona alle necessità correnti.

Come fare?

Fermiamoci e tra colleghi poniamoci delle coraggiose domande. Fermarsi non vuol dire concretamente bloccare il Servizio, ci mancherebbe, ma vuol dire dialogare con i colleghi, fare più riunioni del consueto, sollevare le questioni che sentiamo non quadrare sia a livello emotivo che materiale (organizzazione delle attività, degli spazi, dei turni) e cercare un confronto lasciando parlare ed ascoltando. Qualora non fosse facile trovare una soluzione ai propri quesiti, può essere utile darsi del tempo aggiornandosi per un’altra riunione, servendosi di quel lasso di tempo per osservare il lavoro svolto e pensare a delle soluzioni alternative.

Ascoltare gli utenti. Contestualmente o in un secondo momento in base alla questione da affrontare, non si può prescindere dall’ascolto degli utenti. Chiediamo loro apertamente e chiaramente come stanno, come vivono il Servizio ultimamente, come procede la loro vita personale, come si potrebbe migliorare il Servizio e cosa, nell’agire del Servizio, potrebbe migliorare anche la loro vita fuori. Facciamogli domande concrete es. “L’attività x ti è utile? Ti piace? La modificheresti?” Sfruttiamo momenti di gruppo e colloqui individuali: ognuno in base al proprio Servizio e ai propri utenti sa quale metodo può essere il migliore, ma mai dimenticare di interpellare i propri utenti, origine e fine del nostro lavoro.

Realizziamo solo quanto possiamo realizzare, ma facciamolo al MEGLIO. Chi si rivolge ai Servizi educativi lo fa sempre per trovare risposte di una certa qualità che da solo non riuscirebbe ad ottenere. Ed ogni giorno, ogni educatore dovrebbe lavorare con questa consapevolezza: i propri utenti, sopratutto all’inizio, sono da noi non per piacere o affetto, ma per puro e semplice bisogno di qualcosa di specifico che solo da noi possono trovare e noi, un lavoro di alta qualità, glielo dobbiamo.

Nella mediocrità e nel compiere errori non vi è nulla di sbagliato, siamo umani, tuttavia il nostro lavoro deve protendere sempre all’eccellenza perché è per quello che abbiamo studiato e continuiamo a formarci ed è di quello che chi si rivolge a noi ha bisogno. Per questo motivo, non possiamo permetterci di disperdere energie in attività inutili e qualsiasi iniziativa o intervento, sebbene sia plausibile un’iniziale fase di assestamento, deve vedere la luce quando almeno sulla carta ci sono i numeri e le possibilità affinché riesca al meglio: non c’è spazio per inutili o vuoti tentativi volti solo a minare la nostra credibilità e la fiducia degli utenti nei nostri confronti. Per citare ancora il mondo Montessori: un lavoro (attività da proporre ai bambini n.d.r.) deve essere finalizzato, bello, curato ed invitante, altrimenti meglio eliminarlo poiché funge solo da elemento di disturbo.

Un’iniziativa o un intervento deve essere “bello”, funzionale ed adeguato per necessità degli utenti e forze degli operatori, altrimenti sarà mediocre, sfiancherà gli operatori, creerà false aspettative e deluderà gli utenti. Ma, nel momento in cui gli equilibri finora delineati si realizzeranno, sarà più facile vedere dei risultati positivi che, senza nasconderci dietro un dito, saranno rinforzi positivi per gli educatori e gli operatori tutti, motivandoli a migliorare e a sentirsi più appagati dal proprio lavoro.

Photo by Nathan Anderson

Caro educatore, ricordati di vivere e lasciar vivere. Non strafare, ascolta la tua coscienza, il tuo corpo, i colleghi e gli utenti, fa’ solo ciò che serve o può essere davvero utile in futuro, non agire solo per routine e abitudini, ma poniti domande. Ricorda che il tuo Servizio esiste per dare risposte esclusive e di qualità che altri nella società non riescono a dare, guardati intorno, guarda i tuoi ragazzi e sorridi (si, anche con la mascherina).

A presto,

Giancarla.

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