Nei decenni, o meglio, nei secoli passati lo stile educativo tipico di ogni famiglia era quello che da manuale si definirebbe autoritario, uno stile in cui il bambino o ragazzo più che parte integrante dell’azione educativa, fulcro dell’agire pedagogico, era un individuo passivo, destinatario, ma non protagonista. Il ragazzo era un burattino nelle mani dell’adulto, una creta senz’anima da plasmare a sua immagine, somiglianza e volontà.
Durante il Novecento, con l’affermarsi delle scienze umane e le annesse rivoluzioni sociali, culturali e giuridiche, tale modo di intendere l’educazione è venuto meno per dare spazio al cosiddetto approccio autorevole: l’adulto, consapevole dell’unicità dell’individuo da educare, tenendo conto di inclinazioni, predisposizioni ed opinioni, e facendo leva sulla stima reciproca, tenta di guidare il ragazzo nella sua crescita tenendo a mente, con estrema lungimiranza, quali scelte possano salvaguardarne il benessere fisico e psicologico.

Nonostante questo però, alcune digressioni metodologiche e ulteriori nuovi cambiamenti sociali hanno condotto ad uno stravolgimento del consueto assetto familiare che ha favorito una certo “lassismo” in campo educativo, vedendo genitori ed educatori in una sorta di posizione subordinata, non in grado di educare nel senso proprio del termine, ma solo di “accontentare” per poi perdere il controllo dell’azione educativa e finire con l’essere succubi dei ricatti da Piccoli Lords di bambini e ragazzi. Come porre fine a tutto questo?
Gli adolescenti e lo sviluppo del pensiero astratto
Sappiamo che la risposta naturale di un adolescente di fronte al “no” o ad un’opposizione da parte dell’adulto spazia dalla presa in giro alla rabbia; una risposta accondiscendete è quasi rara se non segno di qualche macchinazione di cui ancora non siamo a conoscenza. Per questo motivo, per via della naturale predisposizione all’opposizione dell’adolescente, rimanere fermi sulle nostre posizioni risulta molto difficile, al limite dello snervante, eppure fondamentale.
Durante l’adolescenza si vive una nuova fase di crescita che vede cambiamenti a livello fisico, neurologico, cognitivo ed intellettivo che, conseguentemente, innescano ulteriori cambiamenti a livello emotivo, psicologico e sociale. I ragazzi iniziano a seguire un pensiero logico e morale, sviluppando pensieri astratti e formulando giudizi.

Tuttavia tali acquisizioni sono frutto di una lunga fase evolutiva che non sempre e non subito si compie in tutti i ragazzi. Molti, che esteticamente sembrano già adulti, possono dimostrare di percepire ancora il mondo intorno a loro in termini estremamente concreti come accade nell’infanzia: le cose sono totalmente giuste o totalmente sbagliate, grandiose o terribili; molti ragazzi faticano a proiettarsi al di là del tempo presente non riuscendo ad immaginare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni.
Detto in parole povere: gli adolescenti non riescono ad essere lungimiranti non riuscendo a comprendere la reale portata o motivazione dei “no” degli adulti, delle raccomandazioni o del perché si chiede loro che tengano determinati comportamenti piuttosto che altri.
Gli adolescenti e il confronto con gli altri: il gruppo dei pari
Non avendo ancora sviluppato un pensiero astratto solido, per gli educatori fare leva su valori etico-morali diventa difficoltoso e spesso infruttuoso, in quanto la costruzione di una propria scala di valori si sostanzia nella fase conclusiva della crescita del ragazzo, legata al raggiungimento della maturità durante la tarda adolescenza con l’affermazione della personalità del giovane adulto. Solo in questa fase si impara ad analizzare in modo più dettagliato le situazioni, a formulare idee, a proiettarsi nel futuro e a costruire valori di riferimento. Tali conquiste però sono possibili solo grazie all’incontro con altri individui, diversi dai genitori, portatori di modelli di riferimento differenti. Questi possono essere insegnanti, allenatori, guide spirituali, altri familiari e gli amici, soprattutto gli amici, il cosiddetto gruppo dei pari.

Gli adolescenti, futuri adulti, li sappiamo vivere un difficile momento di transizione dall’infanzia all’età adulta in cui la domanda “Chi sono io?” in modo inconscio viene posta quotidianamente e, con occhio attento, noi adulti possiamo facilmente notarlo. Un esempio? Le mode dilaganti che a tappeto, nei gruppi di amici, coinvolgono ogni membro vedendo in una classe di scuola, tutte le ragazze con esattamente lo stesso pantalone, la stessa felpa o lo stesso accessorio o i ragazzi esattamente tutti con lo stesso ciuffo di capelli davanti agli occhi.
Così facendo i ragazzi non dimostrano di omologarsi perché senza personalità, ma perché in cerca della propria e, non avendo ancora chiare certezze su quale sia, tentando di iniziare a staccarsi dai modelli genitoriali, seguono quanto offerto dagli altri più vicini, gli amici appunto.
Il ruolo degli adulti di riferimento: pazienza e attesa, imparando a dire “no”
In tutto questo gli adulti, soprattutto i genitori che possono vivere il dispiacere di sentirsi messi da parte, devono rimanere vigili. I loro figli nutriranno un amore viscerale e una stima incondizionata per i loro amici che rimarranno comunque adolescenti esattamente come loro e, nonostante la stima reciproca, prima o poi per tutti arriverà una questione da dover affrontare necessariamente con un adulto di fiducia.

Non dobbiamo immaginare necessariamente scenari catastrofici, ma da adulti sappiamo che la vita di ognuno di noi può assumere mille sfumature spesso difficili da gestire anche per un adulto, figuriamoci per un adolescente! In quel momento dovrà essere presente l’adulto di riferimento che, sebbene mai andato via, ma rimasto solo in attesa in una sorta di cono d’ombra, dovrà essere pronto ad affiancare il ragazzo. La parte difficile per l’adulto sarà proprio rimanere nell’ombra fino a quel momento.
E’ vero che i ragazzi sono in una fase di costruzione della loro personalità rivolgendosi in modo più naturale ai coetanei, tuttavia è da tenere a mente che noi adulti non spariamo dalle loro vite e, anche senza che se accorgano o che noi ce ne accorgiamo, ci osservano: come parliamo, come ci atteggiamo nei loro confronti, nei confronti degli altri membri della famiglia, dei colleghi, degli amici, ma anche come ci prendiamo cura del nostro corpo, come viviamo le nostre passioni ecc. Latentemente loro ci osservano e incamerano il nostro esempio, e lo fanno fin da piccolissimi, agendo noi sulla loro personalità in modo lento e continuato come una goccia che modella la roccia. E di questa azione inarrestabile non possiamo non prendere atto impegnandoci per offrire dei modelli il più sani possibile.
§in sostanza, i ragazzi, in adolescenza, costruiscono la loro personalità e ricercano punti di riferimento puntando spesso in modo naturale agli amici, nonostante questo, gli unici che per esperienza, affetto e lungimiranza possono dargli le certezze affettive, educative e relazionali di cui hanno bisogno rimangono i loro adulti di riferimento.
Come fare? Affidabilità, presenza e chiarezza.
Occorre dimostrare di essere sempre e comunque persone affidabili e presenti seppur con le proprie fragilità umane: iniziare a capire che i propri genitori o insegnanti non sono e non possono essere Esseri perfetti, sebbene sempre presenti e attenti, gli permetterà di avere la consapevolezza che ci sia sempre qualcuno su cui contare, e, allo stesso tempo, di sviluppare una nuova forma di pensiero critico eterocentrico. Gli adulti di riferimento, anche in questo caso, saranno un esempio di presenza e affetto nonostante le quotidiane difficoltà di qualsiasi essere umano.

Lasciato trapelare finora implicitamente, risulta importante ricordare come l’essere accanto ad un adolescente, per un genitore significa rivedere l’intera immagine familiare, il proprio ruolo all’interno della famiglia così come quello del ragazzo che, non più bambino, richiede accortezze, libertà e uno modo di relazionarsi a lui del tutto diverso. Durante l’adolescenza di un ragazzo, l’intero mondo intorno a lui è chiamato a rimettersi in discussione e solo un lavoro di riflessione e riadattamento consapevole da parte degli adulti porterà ad un conseguente maggiore equilibrio emotivo del ragazzo.
Occorrerà che gli adulti non si chiudano nelle proprie paure ma si mettano in discussione a livello personale, documentandosi e affidandosi al sostegno di esperti, della scuola e, se possibile, di gruppi genitoriali ad hoc.
I ragazzi adolescenti porranno domande e vivranno esperienze che costringeranno a rivedere i propri trascorsi, a rievocare ricordi e ad affrontare tabù: riuscire a creare un clima emotivo tale per cui i ragazzi si sentano sicuri e liberi di rivolgersi a noi, farà in modo che la loro ricerca di risposte possa essere accompagnata dai nostri saggezza, delicatezza e affetto e non solo da un click su un freddo motore di ricerca.

Chiarezza, nelle parole e nei messaggi. Spesso a noi adulti piace parlare, fare dei giri di parole infiniti per dire concetti semplici, a volte un po’ scomodi – lo vedete anche in questi articoli. Con gli adolescenti tutto questo non funziona, bisogna essere chiari e diretti esattamente come lo sono loro. Non bisogna “scendere” al loro livello, ma spesso, per tutti i motivi evolutivi citati, se si vuole comunicare con loro, è bene che l’ars oratoria da meeting di lavoro si metta da parte e si dica chiaramente quanto si vuole che capiscano, soprattutto se il messaggio è importante che venga ben recepito. Niente condizionale, meglio il presente, se non l’imperativo:“devi tornare a casa alle 23.00 perché domani ti devi alzare per andare a scuola, punto”. Ne verranno fuori liti indicibili, sguardi assassini e potrebbero volare anche parolacce, se non addirittura frasi che potrebbero ferirvi, purtroppo fanno parte del gioco dell’adolescenza e sapete che un giorno, tra 10-15 anni, se ne vergogneranno e forse vi chiederanno scusa, ma ad oggi dovete rimanere fermi: sapete perché avete certe richieste e quali obiettivi positivi volete ottenere per lui o per lei, non demordete!
Ma ricordate: se la discussione si accende troppo, chiudete, tagliate corto e non fomentate. Nonostante questo, non lasciate mai le conversazioni a metà. Lasciate che le acque si calmino, lasciate che il ragazzo e voi stessi vi calmiate, dategli e datevi modo di riflettere su quanto vi siete detti e, in un secondo momento, provate a riprendere la conversazione con più serenità e tentate di chiarirvi: potrebbero uscirne momenti di fronda confidenza che potreste ricordarvi con commozione per il resto della vostra vita e che daranno un valore aggiunto alla vostra opera educativa ricordando ai ragazzi che, nonostante tutto, ci siete e li amate immensamente.
A presto,
Giancarla.