04.03.2020 – 15.06.2020 è il lasso di tempo che ha visto la sospensione delle attività in presenza per tutte le scuole e i servizi educativi d’Italia.
Sono stati 3 mesi unici, storici per l’educazione italiana, da capitolo a parte in Storia della Pedagogia per chi si iscriverà all’università nei prossimi anni.
Mesi indimenticabili per chiunque li abbia vissuti, sia come insegnante/educatore che come alunno. Siamo stati messi alla prova toccati al cuore della nostra professione: una relazione d’aiuto a cui è stato chiesto improvvisamente grande aiuto, rivedendo contemporaneamente e completamente il concetto stesso di relazione, affidandolo tutto a Wi Fi, microfoni, cuffie, Paint, Webex ecc.

Un nuovo paradigma educativo
Chi più chi meno, ci siamo messi in gioco buttandoci in un nuovo, ennesimo vuoto educativo cercando di colmarlo con un nuovo paradigma dove l’aiuto, forse per la prima volta, si è vissuto davvero in senso circolare: non eravamo più soprattutto noi a offrire aiuto ai ragazzi, ma stavolta sono stati spesso loro ad aiutare noi facendo partire il programma X, sincronizzando la lavagna su Y o condividendo lo schermo per i compagni con la connessione più debole colmando il gap generazionale-tecnologico, gestendo a tratti loro le epiche videochiamate per poi tornare zitti zitti nella posizione di educandi e ascoltare per una/due ore ciò che di bello avevamo da raccontargli sulla vita mentre il mondo fuori si fermava.
Noi siamo stati bravi, ma i ragazzi lo sono stati di più. Giovanissimi, sono stati impeccabili nel lockdown e con tutta la goliardia sacrosanta della loro età hanno imparato ad aspettare gli inviti per le videoconferenze, pazienti e puntuali come pochi adulti. E ora? E ora la scuola è finita, ma è arrivato il 15 giugno insieme al 17 giugno, portando con sé l’inizio dei Centri estivi e di un’insolita Maturità.

Il ritorno in presenza
Inserita nel Centro estivo della scuola dove faccio servizio, la notte tra il 14 e il 15, ho dormito poco e male e come me, tutti i miei colleghi, lo so.
Complice dopo mesi la sveglia alle 6.15, il ritorno in presenza è stato caratterizzato per tanti di noi dall’ansia più totale – “che novità?!” direte voi – ma la verità è che in questo periodo ogni cosa si tramuta in una nuova frontiera dell’educazione, qualcosa per cui non eravamo preparati e che nessuno ci ha mai insegnato.
In lockdown ogni attività era progettata settimana per settimana e anche ora non sarà da meno in quanto, data la miriade di variabili da prendere in considerazione tornando in presenza, non si può fare diversamente. Si fa un pianificazione generale ad inizio mese per poi progettare precisamente entro il fine settimana per là settimana successiva.
Rivedere i ragazzi è stato emozionante ma un po’ malinconico. Con le doverose misure sanitarie necessarie, dopo i lunghi mesi di quarantena, siamo tutti un po’ bloccati.

Negli anni scorsi mi spiegavano che il centro estivo contava anche 400 ragazzi. Oggi non arriva ad 80 per mantenere le distanze, e tutti siamo tenuti al rispetto di alcune regole; tra queste:
- tutto l’ambiente è predisposto ancor prima che per le attività, per mantenere le distanze e favorire la sanificazione. Ogni superficie e oggetto infatti vengono costantemente sanificati, palloni compresi;
- tutto il personale e tutti i bambini indossano sempre la mascherina, lavando e igienizzando le mani più volte al giorno;
- all’ingresso viene presa la temperatura corporea di tutti e ognuno di noi, bambini e adulti, ha un modulo dove appunta ogni giorno quale sia il proprio stato di salute;
- i bambini sono divisi rigidamente in piccoli gruppi che non possono mischiarsi per nessun motivo;
- se si toccano oggetti che si prevede verranno toccati da altri, si devono usare i guanti;
- non ci si può toccare né scambiare segni d’affetto che prevedano contatto;
- non si possono fare file per due tenendosi per mano, ma solo fila indiana a distanza di un metro;
- non si può mangiare tutti insieme;
- non si può lavorare tutti insieme;
- non si possono fare giochi di squadra di movimento che inducano a correre, sudare o qualsiasi tipo di contatto (no calcio, pallavolo, acchiapparello ecc.);
- non si possono organizzare tornei tra squadre a meno che l’attività non sia fattibile a distanza;
- non si può ballare insieme;
- non ci si può scambiare cibo né portare cibo dall’esterno;
- non si può abbracciare un bimbo se piange né consolarlo in alcun modo che preveda contatto se ha un problema. Per quest’ultimo punto, il centro estivo ha scelto di restringere ulteriormente la fascia d’età di accesso, alzandola di un anno.
Molto di ciò che normalmente viene incoraggiato, come lo scambio e la condivisione, sia materiale che ideale, in questo momento deve essere evitato, imponendoci la sfida di redarguire ad esempio chi si abbraccia, trovando al tempo stesso le giuste parole per far capire il perché del richiamo senza rovinare il lungo lavoro educativo di formazione del senso di comunità realizzato negli anni con estremo sforzo da chi ci ha preceduti.

Il primo giorno, tre bambine che è più il tempo che non ho visto che quello che ho frequentato, le ho salutate con un gesto della mano, provando a sorridergli nonostante la mascherina.
Il secondo giorno tra attività dentro e fuori la scuola ho usato 5 paia di guanti e alla domanda “giochi con noi a pallavolo” ho risposto di no dicendogli che non potevano farlo neanche loro.
Al quarto giorno, quando abbiamo giocato al celebre Battimuro calciando la palla contro il muro, e a me ed una collega hanno chiesto perché al centro estivo fossimo così pochi e non si facessero più tante attività, abbiamo provato a rispondere ricordandogli del Coronavirus “Ahhhh!” ci hanno risposto. É incredibile il loro spirito di adattamento nonostante tutto. Nell’arco di pochi giorni, tra bambini stanno nascendo comunque delle amicizie e anche nei nostri confronti alcuni ragazzi si stanno nuovamente aprendo, qualcuno più riservato sta anche dimostrando una nuova voglia di chiacchierare. Noi, dal canto nostro, proviamo a stragli dietro facendo anche il pollo appesi ad una vecchia porta da calcio.
Emozioni contrastanti
Anche in questo momento stiamo cercando di fare del nostro meglio sempre e solo per i ragazzi, anche se intorno a noi tutto è cambiato. I nostri ruoli sono diversi, quello che ci è richiesto di fare è diverso e il nostro gruppo di lavoro è diverso aggiungendo al tutto anche la necessità di conoscersi tra colleghi e trovare nuovi equilibri.
Questa prima settimana di ritorno in presenza è stata bella ma impegnativa. È stata strana, non c’è altro aggettivo per definirla sebbene sia un termine poco chiaro che in genere preferisco non usare, eppure non si può descrivere altrimenti perché i pensieri di questi giorni sono stati contrastanti e… strani.

Da un lato siamo tornati a casa, ma dall’altro è come se tutto il mobilio fosse stato stravolto e avessimo, oltre ai vecchi coinquilini, anche volti totalmente nuovi, con nuove abitudini e regole da definire per vivere insieme.
Sento che è tutto in movimento, tutto da definire e che le prossime settimane saranno belle toste. Fortuna che nonostante tutto, i miei vecchi colleghi ci sono ancora e che, dopo milioni di messaggi, note vocali e una miriade di videochiamate, possiamo tornare a lavorare insieme e a ridere nei momenti di relax. Avevamo formato una bella squadra prima del Coronavirus e nonostante i tanti cambiamenti, almeno questo non è cambiato.
Per tutto il resto, cari colleghi educatori vicini e lontani, armiamoci di pazienza, tanta pazienza, non chiudiamoci ma confidiamoci con i colleghi di cui ci fidiamo e teniamo duro, come dopo tutto abbiamo sempre fatto.
Coraggio ❤ a presto,
Giancarla.