Piccolo manuale di autodifesa verbale

Il ritorno alla normalità vede anche il ritorno ai vecchi grandi problemi della vita quotidiana. Uno di questi, che affligge un po’ tutti fin dalla tenera età, è il riuscire a mettere in atto un’efficace autodifesa verbale.

Quante volte, invece di rimanere impalati di fronte ad una critica inaspettata, col senno di poi abbiamo rimuginato pensando alle mille risposte che avremmo potuto dare con annessa uscita trionfale alla Beyoncé ma che invece non sono minimamente uscite dalla nostra bocca e che, probabilmente, non saremo mai in grado di far uscire nei tempi e nelle modalità giuste?

La studiosa di comunicazione Barbara Berckhan, consapevole del blocco mentale che attanaglia le vite di molti di noi, dopo dieci anni di ricerche e riflessioni, ha raccolto le sue deduzioni in una serie di interessanti libri sull’autodifesa verbale che insieme, con il tempo andremo a scoprire. Il primo di questi è Piccolo manuale di autodifesa verbale.

I principi fondamentali

Il libro, come quelli che lo seguiranno, si basa su alcuni principi ben chiari.

Normalmente si dice che chi usa la violenza verbale in una discussione (purtroppo in alcuni casi anche quella fisica) è perché non ha contenuti forti con cui controbattere: dallo stesso presupposto parte Barbara nel suo manuale.

L’obiettivo dei suoi suggerimenti è, come dice il titolo stesso, quello di difendersi da un attacco, ossia riuscire a rispondere ad una provocazione non con l’idea di schiacciare l’avversario con ulteriori attacchi che potrebbero degenerare in una lite senza fine ma, ispirato alle arti marziali, il fine è quello di neutralizzare il colpo rievuto cercando di immobilizzare l’avversario e mettere fine all’incontro. Per questo tutte le dritte di Barbara si basano su alcuni chiari principi:

  • difesa e non attacco;
  • semplicità dei contenuti;
  • mai l’uso di termini offensivi;
  • rimanere sul tema della discussione e non portare mai il dibattito sul piano personale;
  • fare leva sull’ironia.

Quelle che vedremo sono due diverse modalità di affrontare l’attacco rispondendo con diverse strategie, ognuna adatta diverse tipologie di contesto.

MODALITÀ 1: L’arte del non combattere

La questione non è che non si debba combattere per far valere le proprie opinioni, ma che non abbia senso farlo quando non necessario. Noi, dal canto nostro, durante le discussioni dobbiamo riuscire a mantenere una lucidità tale da renderci conto che a volte alzare i toni non è utile e che magari la questione si potrebbe chiudere in modo più sereno per tutti senza né vinti né vincitori. Una strategia può essere la controdomanda-antidoto.

Strategia 1 La controdomanda-antidoto

Facciamo un esempio: il vostro partner vi rivolge un commento che ritenete offensivo “quel vestito ti è aderente come la pelle di un wurstel”. Come reagire? Cosa rispondere? Piccolo indizio: “Intendi dire che sono grass*?!/ Sarai bell* tu” non sono la risposta corretta perché accendono la discussione.

Photo by Kate Kalvach

Barbara ci suggerisce come prima cosa di avere il beneficio del dubbio, ossia di non dare subito per scontato che l’altra persona volesse offenderci, invitandoci per questo a porgli con calma una domanda che ipoteticamente gli dia la possibilità di spiegarsi.

Un buon metodo per non sbagliare è ripetere il commento fattoci in chiave interrogativa es.“Aderente come la pelle di un wurstel?” Questa semplice domanda posta con neutralità, da un lato ci fa guadagnare qualche secondo per recuperare un po’ di calma qualora ci stessimo innervosendo e dall’altro permette all’interlocutore di chiarire il proprio commento qualora si fosse espresso male oppure, resosi conto di aver fatto un’uscita infelice, di correggere il tiro senza dare avvio ad una vera e propria lite.

È una tecnica semplicissima adatta a qualsiasi contesto, formale e non, eppure può veramente fare molto in quanto, con un po’ di autocontrollo, concede a noi e al nostro interlocutore attimi preziosi per salvare la situazione.

Cosa fare se l’altro non coglie e persevera? Siate ancora pazienti, provate con un’altra domanda antidoto poiché, sebbene sembri assurdo, non molte persone al mondo sanno veramente esprimere verbalmente ciò che pensano: per la persona media, dare esatta espressione ai propri pensieri, con le parole corrette nel significato, non è così semplice.

Se anche la seconda controdomanda non funziona siate calmi ancora una volta, ma sinceri “Perché mi dici che sembra la pelle di un wurstel? Mi ferisce, per me è come se mi dicessi che sono grass*”. Una persona che tiene a voi a questo punto vi tranquillizzerà e vi chiederà scusa. Se non lo farà, vuol dire che non tiene a voi e vuole proprio ferirvi… a questo punto, più che sul singolo commento che vi ha rivolto, iniziate a soffermarvi sul rapporto che avete con lei e se vale la pena di portare avanti una relazione con qualcuno che prova piacere nel farvi stare male. In ogni caso nel frattempo, chiudete il discorso e spostatelo su altro, non date modo al vostro interlocutore di infierire.

Il peso dell’interpretazione personale

Nonostante questo, Barbara ci spinge a porci una domanda: e se in alcuni casi fossimo noi a prenderci troppo sul serio reagendo in modo permaloso quando magari, guardando le cose da un’altra prospettiva, si potrebbe risolvere tutto con una risata?

Non possiamo decidere cosa gli altri ci diranno, ma possiamo scegliere come interpretarlo. Il peso che diamo alle parole è dato dal filtro del nostro punto di vista, dalle nostre esperienze, dai nostri principi e dal nostro background culturale. Questo, prima di scattare nei confronti dell’altro, non possiamo non prenderlo in considerazione, così come non possiamo non prendere in considerazione la “provenienza” altrui che, ovviamente, ne influenza il modo di esprimersi.

Tutto questo, il tenere conto di tutte queste dinamiche relazionali, nel momento in cui entriamo in discussione con qualcun’altro richiede un grande impegno che a tratti potrebbe sembrare inutile o smisurato, quasi insostenibile, inducendoci ad essere tentati da mezzi meno pacifici; tuttavia ricordiamo sempre che qualsiasi cosa, con un po’ di esercizio ed impegno, diventa più facile per chi la sperimenta.

All’inizio la controdomanda-antidoto potrà sembrarvi inutile, ma vedendo i primi risultati e una nostra maggiore futura serenità nell’affrontare una discussione, vedrete che acquisirete fiducia e andrà sempre meglio. Del resto l’oratoria è un’antica e nobile arte!

Strategia 2 Il potere del silenzio

Una tecnica molto sottovalutata è il silenzio. Non il silenzio remissivo, di chi è rimasto senza parole, ma di chi reputa talmente sciocca l’affermazione fatta da non meritare neanche risposta, decidendo di tacere e magari passare direttamente ad un altro argomento. Come se l’altro non avesse mai parlato, spiazzandolo dato che convinto di aver fatto un “battutone”. Adatto ai contesti formali.

Un’alternativa al silenzio assoluto, è il “silenzio vivace”. Un chiaro esempio ce lo offre Lady Crawley in Downton Abbey, nota proprio per i suoi caratteristici silenzi uniti ad una marcata espressività facciale.

Il silenzio in questione, più adatto a contesti informali, in modo non finto ma simpatico, è un silenzio plateale che con lo sguardo e la mimica lascia intendere “Oh mio dio, cosa hai detto?!”, senza rispondere verbalmente né dare adito a ulteriori questioni, per poi passare oltre, riprendendo il discorso lì dove si era fermato prima che il nostro interlocutore dicesse quella castroneria. Ignorando e andando avanti, l’altro verrà colto di sorpresa non potendo fare altro che zittirsi e cercare a sua volta di rimettersi in carreggiata seguendo il vostro discorso nella speranza di non fare ulteriori gaffe.

Strategia 3 Il commento bisillabico

Altra strategia vicina al silenzio vivace e adatta a contesti più informali è il commento bisillabico, ossia un commento immediato che, anche in questo caso, denota tempismo e umorismo, lasciando cadere comunque la conversazione. Alcuni esempi, in base all’affermazione rivoltaci, possono essere “Ma dai?!” “E beh!” “Eh si!” “Cavoli!” “Caspita!” ecc. Rispondere verbalmente, ma senza dare adito ad a nuove questioni.

Ricordate però, la parola d’ordine è sempre e solo una: non perdere le staffe, e soprattutto non dare mai l’impressione di essersi innervositi, qualsiasi strategia di non-combattimento si sia scelta. Per un provocatore non c’è nulla di peggio di percepire che il provocato di fatto non è stato provocato, ma ride sotto i baffi della stupidata appena sentita.

Photo by Anna Vander

MODALITÀ 2 Ridere ci mantiene giovani

A volte capita di trovarsi di fronte persone fondamentalmente infelici ed insicure, quelle che i romani chiamano “rosiconi”, che, scontente di sé stesse, non fanno altro che cercare di abbattere psicologicamente gli altri con l’intento inconscio di averne un ritorno in autostima.

Spesso queste sono le persone che fanno le battute più arroganti, che attaccando l’altro pensando di brillare loro. Queste persone, contorte come sono, spesso non hanno un genuino senso dell’umorismo che non offende nessuno ma fa ridere tutti, ma usano battute e sfottò sottolineando volontariamente un difetto altrui per mettere in difficoltà per poi aggiungere, come nulla fosse, “scherzo!” Ma sappiamo bene che se lo scherzo deve ferire, non è più uno scherzo, ma un’offesa.

Queste persone subdole, convinte di agire abilmente sulla psicologia altrui, tutto si aspettano tranne che la loro vittima gli rida in faccia. Come fare? Ecco alcune strategie.

Strategia 1 Il complimento inatteso

“Io si che sono bravo a fare questi lavori… mica come te che non metti insieme soggetto, verbo e complemento!”

Esempio di risposta con bel sorrisone stampato in faccia: “Da domani ti chiamo professore!”

Photo by Joshua Ness

Un po’ perplesso non aspettandosi che l’attenzione venga spostata su di lui, il provocatore potrebbe rincarare la dose con un “Sai che faresti bene?” e voi, ancora di sviolinata esagerata “Ma si infatti!” per poi continuare sviando l’attenzione su altro “A tal proposito, non hai mai pensato alla carriera di insegnante? Spieghi bene!” A questo punto l’interlocutore, per mantenere un minimo di coerenza nella conversazione e non apparire un palese provocatore (ricordatevi che è un insicuro che sfrutta questi meccanismi per avere una botta di vita), non potrà non dare seguito alla vostra domanda rispondendovi, continuando la conversazione definitivamente su altro oppure, semplicemente, facendola cadere con un “No, mai”.

In entrambi i casi credo possiate ritenervi soddisfatti della vostra tecnica di autodifesa, del resto chi abbraccia l’avversario, lo immobilizza. Perfetta nei contesti formali.

Strategia 2 Il cambio di discorso

Alla stessa provocazione precedente, un altro modo efficace di rispondere può essere il cambio di discorso, che può essere sensato o del tutto strampalato. Il primo più adatto ai contesti formali, il secondo agli informali.

Il cambio di discorso sensato consiste nel partire dalla provocazione avviando un ipotetico discorso correlato es. “Certo che la formazione scolastica negli ultimi anni è proprio carente. Tu che formazione hai?” e via di seguito reggendo il discorso.

Quellaìo strampalato è un cambio di discorso del tutto fuori luogo, che spinge anche a sorridere e ad allentare la tensione es. “Eh magari avessi avuto una tata come Mary Poppins! Quante cose avrei imparato… tipo a dire supercalifrag… tu lo sai dire??” A questo punto potrebbe esaurirsi tutto in una risata.

E se il nostro provocatore insistesse arrivando a chiederci esplicitamente “Che fai, cambi discorso?” Usate l’arma più vincente e dura di tutte: la sincerità. “Si, cambio discorso, perché, non è più divertente/interessante quello che dico io?” magari con un bel sorriso distensivo degli animi.

Tutto però sempre e solo fatto con naturalezza, senza far trasparire rabbia né nervosismo, altrimenti non funziona. Autocontrollo, autocontrollo e ancora autocontrollo.

Strategia 3 Il proverbio strampalato

Una strategia d’impatto che in contesti informali, a mio avviso, è veramente geniale è quella del proverbio strampalato, magari anche in dialetto.

Sentire recitare un proverbio dal nulla come se fosse una verità dell’Universo mentre noi non lo comprendiamo è assolutamente spiazzante: spinge a bloccarsi per non fare figuracce nel tentativo di capire quale sia la connessione con il discorso fatto.

Photo by Shane Rounce

A quel punto, non essendoci una reale connessione, l’interlocutore entrerà in confusione permettendovi di spostare l’attenzione su tutt’altro.

Sia chiaro, il proverbio non deve essere una frecciatina aizzante, ma un’uscita buttata lì, che noi sappiamo essere assolutamente senza senso in quel discorso.

Immaginate la faccia del provocatore se alla provocazione “Non metti insieme soggetto, verbo e complemento” rispondessimo “eeeh… del resto rosso di sera, bel tempo si spera, giusto?”

Cosa cambia nella nostra vita se l’altro non la pensa come noi?

Alla base di tutte queste strategie vi è da parte di Barbara la convinzione che ognuno di noi dovrebbe porsi una domanda fondamentalmente: cosa cambia nella nostra vita se l’altro non la pensa come noi? Se pensandoci un attimo la risposta è “niente”, possiamo attivare queste e tutte le altre strategie che ci vengono in mente per evitare il conflitto non perché siamo dei codardi ma perché, come dicevamo in principio, si tratterebbe di uno spreco di energia inutile e di una fonte di stress di cui non abbiamo bisogno.

Sappiamo bene che quando discutiamo con qualcuno e sentiamo anche di esserne usciti da perdenti, ci tiriamo addosso una negatività tale da condizionare almeno tutta la nostra giornata se non di più: ne vale la pena?

Photo by David Zhang

Poiché il nostro primo dovere nei confronti di noi stessi è l’avere cura di noi ancor prima di vederci riconosciuta la ragione, se la risposta anche a questa domanda è “No”, mollate ogni desiderio istintuale di vittoria, vendetta o supremazia, e provate ad attuare qualcuna di queste strategie con il solo intento di stare bene voi e di far stare bene chi amate perché, vedendovi più sereni, non potranno che trarne a loro volta beneficio.

A presto,

Giancarla.

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