Per molti il nome Deborah Feldman risulterà sconosciuto eppure, complice la sua autobiografia già edita in Italia e la recente uscita della serie tv Unorthodox su Netflix ispirata alla sua vita, sono certa che presto, questa donna forte e desiderosa di vivere la propria vita liberamente, diventerà nota a tanti.
Infanzia
Sarah Deborah Berkowitz (sceglie in seguito di farsi chiamare solo Deborah, mentre Feldman è il cognome da sposata) nasce a New York il 17/08/1986. Cresciuta dai nonni paterni a seguito dell’allontanamento della madre lesbica e della precaria salute mentale del padre, insieme alla famiglia, Deborah è parte della comunità degli ebrei Satmar di Williamsburg, sita a Brooklyn, New York.

Gli ebrei Satmar di Williamsburg
Gli ebrei Satmar di Williamsburg sono una comunità chassidica originaria di Satmar, una città ungherese, e sono perlopiù discendenti di sopravvissuti dell’Olocausto trasferirtisi a New York dopo la guerra. Questo, rispetto alle altre comunità ultraortodosse, li rende diversi in quanto, se le altre comunità hanno un’origine ed una storia che ne definiscono chiaramente l’identità ed il credo religioso, i Satmar di Williamsburg, oltre ad avere una storia molto recente, si formano dalle ceneri dei sopravvissuti di altre comunità e solo a seguito dell’evento più tragico della storia ebraica.
Tale consapevolezza fa sì che i membri della comunità sentano da subito una forte responsabilità in merito alla tutela della propria religione e delle proprie tradizioni, infatti, convinti che l’Olocausto sia una punizione divina per essersi “mischiati” con gli altri popoli, optano per regole di vita, di comportamento e d’abbigliamento molto stringenti.
La lingua parlata è lo yiddish, un dialetto tipico delle comunità ebraiche originarie dell’Europa, vietando l’uso dell’inglese se non per comunicare con i non ebrei.
La comunità, seppur molto chiusa, conta centinaia di migliaia di persone e anche istituzioni come scuole, ospedali e commissariati di polizia sono di fatto gestite da persone appartenenti alla comunità, rendendo il contatto con il mondo esterno, anche solo dal punto di vista intellettuale, estremamente difficile.
Le ferree regole imposte vogliono una vita scandita seguendo in modo rigido il Talmud, concependo una vita comunitaria fondata sulla famiglia tradizionale con ruoli di genere ben definiti: gli uomini impegnati nel lavoro e nello studio dei testi sacri e le donne dedite alla casa e alla cura dei figli, non potendo ricevere, in entrambi i casi, un’educazione che esuli dalla rigida interpretazione dei dettami religiosi. Alle donne, in particolare, non è consentito cantare né suonare e i matrimoni, combinati dalle famiglie, vengono contratti in giovanissima età.
La condizione femminile di fatto vede la donna in secondo piano e, considerando il sesso come un tabù ma al tempo stesso l’unica via percorribile per la sopravvivenza della comunità, la pone in uno stato di grande dissonanza e soggezione sia psicologica che intellettuale. A lei infatti è chiesto da un lato di coprire ed ignorare il proprio corpo fin da bambina, dall’altro, senza alcun tipo di consapevolezza e rigorosamente dopo il matrimonio, di offrirsi al marito e indirettamente alla comunità, per generare rapidamente una numerosa prole ridando simbolicamente vita ai 6 milioni di ebrei deceduti nei lager nazisti.
Crescere a Williamsburg
É in questo contesto che cresce Deborah.
Educata nelle scuole della comunità, non ha una formazione adatta a competere con quella del mondo esterno né la possibilità di accedere a molti contenuti. Per questo, amante della lettura, fin da piccolina di nascosto visita una biblioteca e accede a testi vietati come lo stesso Talmud e i romanzi di Jane Austen, Louisa May Alcott e Lucy Maud Montgomery, amando particolarmente Piccole donne e Anna dai capelli rossi.

Questo, oltre a permetterle di padroneggiare bene l’inglese, le dà la percezione di poter immaginare per se stessa una vita che vada oltre le rigide regole comunitarie, soprattutto perché, a dispetto di quanto raccontatole dagli adulti, tali letture, invece di dannarla, hanno su di lei una costante opera di arricchimento intellettuale e spirituale.

Ma, nonostante le oggettive restrizioni in cui è costretta a crescere, per sua stessa ammissione in un’intervista del 2016 all’emittente tedesca DW News, Deborah si affida ai suoi riferimenti affettivi di quegli anni, i nonni e la zia paterni in particolare, consapevole che dal loro punto di vista, nell’imporre determinate regole, non vi fosse alcuna mala fede, riconoscendoli ancora oggi come una famiglia amorevole nonostante tutto.
Il precoce matrimonio a 17 anni
Come tutte le donne della comunità Satmar, anche Deborah deve assolvere ai propri doveri femminili. Nel 2003, a 17 anni, dopo aver trascorso con lui in tutto 30 minuti, sposa con matrimonio combinato Elì Feldman, uno studioso Talmud del quale prende il cognome che ancora oggi porta.

Il primo anno di matrimonio è il più duro. Entrambi gli sposi, privi di ogni educazione ed esperienza sessuale, vivono la pressione sociale di dover mettere al più presto su famiglia: non è raro infatti che le coppie della comunità abbiano a testa anche 10 figli, arrivando il alcuni casi addirittura a 20.
Per questo motivo Eli e Deborah sono letteralmente osservati a vista, in attesa che consumino il matrimonio e abbiano un bambino. Ma a seguito delle pressioni, Deborah inizia a soffrire di vaginismo non riuscendo ad avere rapporti con il marito per più di un anno.
Il trasferimento fuori da Williamsburg
Dopo diverse visite e terapie, sempre opportunamente di pubblico dominio, Deborah riesce a rimanere incinta e, forte del grande desiderio del marito di diventare padre, riesce a convincerlo a lasciare Williamburg per trasferirsi altrove e crescere più serenamente il bambino in arrivo.
Nel 2006 la coppia si sposta a Airmont, nei pressi di New York, dove a 19 anni Deborah dà alla luce suo figlio Yitzy.

L’iscrizione segreta all’università
Airmont non è lontana dal Sarah Lawrence College, dove Deborah fa domanda e inizia segretamente a frequentare un corso di letteratura usando il suo secondo nome, Deborah appunto, con il quale da allora si fa chiamare.
Non è il primo grande colpo di testa di Deborah: qualche tempo prima infatti, con una scusa, riesce a prendere la patente, cosa vietata alle donne della sua comunità se non per comprovate ragioni.
Studiando e lontana dalla stretta di Williamsburg, Deborah fa amicizia con persone esterne alla comunità Satmar iniziando a ipotizzare con più concretezza la possibilità di vivere una vita diversa rispetto a quella impostagli dalla comunità.
La fuga
E’ il 2009 quando, a 23 anni, aiutata dagli amici dell’università, riesce a pianificare la fuga per sé e per Yitzy.
Di nascosto vende i suoi gioielli e alcuni doni nuziali, affitta un’auto e impacchetta tutti i propri averi, li carica in macchina e fugge con il bimbo di tre anni, tornando a New York dove nel frattempo è riuscita ad affittare anche un appartamento. Cambia numero di telefono e taglia ogni comunicazione con il marito e la comunità senza rivelare a nessuno il suo nuovo indirizzo.

Mamma e figlio iniziano una nuova vita e Deborah, per ammortizzare tutto quanto ha vissuto, apre un blog.
Dal suo blog, nel 2012 nasce il libro autobiografico Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots, pubblicato in Italia da Abendstern con il titolo Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche.
Il trasferimento a Berlino
Negli ultimi decenni un movimento silenzioso ma significativo ha spinto decine di migliaia di giovani ebrei, spesso discendenti dagli ebrei sopravvissuti alla guerra e fuggiti lontano dall’Europa, a desiderare fortemente di tornare in Germania. Chi anche solo per un viaggio, chi decidendo di trasferirvisi completamente, tutti con il desiderio di ritrovare le radici della propria famiglia e chiudere un sorta di cerchio identitario.
Così è stato anche per Deborah che, diventata un personaggio pubblico con l’uscita del libro diventato un best- seller, nel 2014 decide di trasferirsi a Berlino con suo figlio.
Quando la DW News le chiede come mai abbia scelto proprio Berlino, Deborah risponde che dopo tutto ciò che è accaduto al suo popolo e a lei stessa, nulla la fa sentire più libera di poter decidere di vivere liberamente proprio a Berlino. Qui, complice la sua conoscenza dello yiddish, molto simile al tedesco, impara presto a padroneggiare la lingua e nel 2014 esce il suo secondo libro, ancora inedito in Italia, dal titolo Exodus.
L’immagine pubblica e la testimonianza di rinascita
Dopo l’uscita dei suoi libri, la vita di Deborah cambia completamente diventando una scrittrice affermata sia negli Stati Uniti che in Germania. Diventa un personaggio pubblico a tutti gli effetti, invitata nei programmi televisivi come testimone di una realtà quale quella di Williamsburg da sempre un mistero per il resto del mondo. Ma a differenza di quanto si potrebbe pensare, invece di scagliare aspre critiche, con toni pacati si presenta spesso come una sorta di catalizzatore in grado di raccontare a chi non la conosce, una realtà altrimenti inaccessibile.
Deborah diventa anche una sorta di testimonial di rinascita, spiegando le difficoltà psicologiche che ha affrontato per ricostruirsi una vita e conseguentemente una nuova identità.
Nelle sue interviste spiega come il vero peso psicologico, il vero “disturbo post traumatico” sia arrivato nel momento in cui la sua vita fuori dalla comunità ha iniziato ad assestarsi: nel momento in cui ha potuto rilassarsi e guardarsi dentro, oltre che intorno, ha compreso quanto fosse stato duro tutto ciò che aveva vissuto.
Inizialmente, in una fase acuta della fuga, vive nella paura costante che qualcuno possa scoprirla e costringerla a tornare a Williamsburg. Solo in seguito inizia a metabolizzare quanto accaduto notando anche il riverbero delle proprie azioni e a capirne la portata.
E capisce che dare sfogo alla propria diversità, intelligenza e sensibilità, il sapere di avere dei talenti e volerli mostrare non è narcisismo come le avevano inculcato, ma riconoscimento per i doni che la vita ci ha offerto: non mostrarli e non metterli al servizio degli altri tenendoli per se non è essere modesti, ma essere ingrati.
Così arriva al blog e poi al libro, dopo il primo atto di liberazione di decidere di leggere e alimentare la propria individualità segretamente ed il secondo di fuggire, è il terzo nodo della vita di Deborah riconosciuto da lei stessa come fondamentale per le sua affermazione identitaria. Il quarto è chiaramente il trasferimento a Berlino.
Nel 2020 Deborah compie 34 anni, risiede ancora a Berlino con il figlio quattordicenne e ha la cittadinanza tedesca. Nel 2021 è prevista l’uscita del suo terzo libro, il primo scritto direttamente in tedesco e il 26 marzo 2020, sulla piattaforma di streaming Netflix, viene rilasciata la miniserie Unorthodox di 4 puntate, ispirata alla sua vita e alla cui produzione lei stessa prende parte.
A presto,
Giancarla.
Fonti: Abendstern Edizioni; DW News; Cinematographe; Mirror; Nospoiler; Screenrant; The Sun; Tropismi; Wikipedia.