Spesso discutiamo di femminismo, di solidarietà femminile e di sorellanza. Spesso ci rivolgiamo alle donne come se fossero o dovessero essere un unicum, un’unica grande forza chiamata a muoversi insieme. Ma altrettanto spesso rimaniamo deluse perché l’unione viene meno, lamentando che le lotte femministe di una volta ormai non esistono più. Ma perché ciò accade? Siamo davvero più menefreghiste cullandoci sugli allori disposti dai sacrifici di altre donne oppure esistono ragioni di fondo, motivazioni reali che fanno sì che le donne non riescano più ad essere sorelle come si aspirava in passato?
Con queste domande, mi sono incuriosita nella lettura del libro di Alison Wolf, The XX factor, a mio avviso impropriamente tradotto in Italia come Donne Alfa.
Con Alison, economista di successo attualemente in forza al King’s College di Londra e non solo, ripercorriamo gli ultimi 300 anni della storia femminile servendoci di tutti i più significativi dati statistici disponibili sulla condizione femminile nei diversi decenni per poi sentire, da testimonianze dirette, il pensiero delle donne contemporanee, potenziali colleghe, coetanee e amiche di ognuna di noi, provenienti da ogni parte del mondo.
Jane Austen, il matrimonio o la zitellaggine
Da inglese, Alison non può non partire da una delle autrici più significative della letteratura inglese: Jane Austen. Per chi non lo sapesse, nonostante i suoi scritti siano spesso caratterizzati da intelligenti donne amate ed apprezzate dall’uomo della loro vita, Jane, desiderosa di libertà e di non sottostare alle regole di una società ancora esclusivamente patriarcale, decide di rompere quasi trentenne un fidanzamento prossimo al matrimonio per optare coscientemente per la zitellaggine. Si, proprio la zitellaggine, non ci sono altri termini per descrivere la sua scelta di vita.
Per le donne di quell’epoca, per tutte le donne del mondo di quell’epoca e per tutte quelle dei secoli precedenti, l’unica possibilità di una vita dignitosa era legata la matrimonio, possibilmente con un “buon partito”. Dalla potestà paterna si passava all’autorità del marito, dalla casa genitoriale a quella matrimoniale, dall’essere mantenute dal padre, all’esserlo dal marito scelto a tavolino dalla famiglia, per il quale, in cambio, si procreava una discendenza (meglio se maschile, ovvio). Nessuna possibilità di lavorare, né di ereditare o possedere alcunchè, tutto ciò che il padre lasciava alla figlia era di fatto la sua dote matrimoniale che, in automatico, passava nelle mani del marito.
E le donne che non si sposavano? Rimanevano zitelle e vivevano grazie alla carità altrui. Se fortunate, forse ospitate da un fratello che provvedeva alla loro sussistenza, ma nulla di più. E anche questo valeva per tutte le donne del mondo, senza eccezioni, consapevoli che in caso di bisogno non vi era alcuna forma di assistenza sociale o previdenza predefinite utili a sostentarle. O il matrimonio o la zitellaggine, ossia il nulla.
Queste erano le uniche possibilità per le donne. E Jane Austen ancora oggi è un simbolo di incredibile forza femminile poiché, in tale contesto, scelse di rompere un fidanzamento che le avrebbe assicurato una vita materialmente tranquilla ma incatenata al volere del marito per il resto dei suoi giorni.
Le donne entrano nel mondo del lavoro retribuito
Una prima scossa alla condizione femminile si ebbe grazie alla rivoluzione industriale che, tra ‘700 e ‘800, condusse ad uno stravolgimento anche intellettuale della società dell’epoca.
Le ragazze (bambine) delle famiglie più povere, dai campi iniziarono a lavorare nelle fabbriche come operaie ricevendo per la prima volta un compenso per il lavoro svolto. Furono i primi casi di lavoro famminile retribuito. Ma badate bene, si trattava di puro sfruttamento e di paghe che passavano direttamente nelle mani del capo famiglia.
Negli stessi anni, qualcos’altro per i ceti sociali più abbienti stava cambiando: gli istituti superiori ed in seguito, tra fine ‘800 e inizio ‘900, le università iniziarono ad accogliere le donne. Tuttavia, seppur un importante momento storico per le ragazze, le diplomate e, meno che mai, le laureate di tutto il mondo si poterono contare per decenni sulle dita di due mani. E a quali lavori potevano accedere? Fondalmentalmente lavori di cura, uno su tutti l’insegnamento.
Anche potendo lavorare, questa era considerata ancora un’attività degna e rispettabile da ben poche donne in quanto, per la mentalità dell’epoca, il lavoro femminile era qualcosa di legato alla necessità di sopravvivere poiché sprovviste di un marito o di famiglia in grado di mantenerle.
A sostenere la convinzione che il lavoro femminile fosse qualcosa di incompatibile con la vita matrimoniale, quasi offensivo per l’uomo con il quale ci si sposava, vi erano non solo l’opinione comune, ma anche specifiche leggi che proibivano alle donne di lavorare se sposate (marriage bar), rimaste in vigore in molti Paesi occidentali fino agli ’60. Dunque ancora, le donne diplomate o laureate, fino agli anni ’60, in molti Paesi sono state costrette a scegliere tra la loro indipendenza e il desiderio di sposarsi e metter su famiglia.
Alcune eccezioni, per ovvie ragioni, le portarono le due grandi guerre, per cui le donne, con gli uomini al fronte, dovettero darsi estremamente da fare. E vi dirò di più, nel male, quei momenti così difficili posero non poche basi di pensiero per le future lotte femministe.
Le donne nel XX secolo
Queste donne, nate e cresciute negli anni tra il 1900 e il 1950, di fatto hanno rappresentato generazioni di svolta. Vivendo tra le due guerre più orribili della storia, in una società in più rapida evoluzione, cresciute da mamme che le inducevano a pensare che il culmine della loro vita dovesse essere sfornare figli per un uomo il più ricco possibile a cui ubbidire portando l’ombrellino per proteggersi dal sole, hanno messo al mondo le femministe dei decenni successivi, desiderose di votare, studiare e mettersi in bikini per prendere il sole.
Per noi donne del XXI secolo la condizione di dissonanza vissuta da queste signore è emotivamente incomprensibile: desiderare magari segretamente di avere la propria indipendenza ma essere cresciute con la convinzione che sia sbagliato ed indecoroso; non aver mai lavorato e per questo non essere in grado di farlo ma con delle guerre in corso che ti costringono ad ingegnarti per portare avanti la tua vita e quella dei tuoi figli; combattere alcuni decenni dopo con figlie che sembrano avere idee ed ideali inconciliabili con quanto appreso da noi da bambine… non so come possano essere sopravvissute!
Eppure ce l’hanno fatta, dando il là alle generazioni successive raggiungendo obiettivi determinanti come il voto per le donne.
L’emancipazione femminile degli anni ’60 e ’70
Sono decenni storici quelli della seconda metà del’900. In Occidente le donne si uniscono e lottano insieme ottenendo riforme di famiglia, del matrimonio e della genitorialità. Trovano finalmente la loro libertà passando per l’autoderminazione individuale ottenendo grazie alla rivoluzione sessuale e all’affermarsi della contraccezione, la possibilità di gestire il proprio corpo e la propria sessualità con serenità e senza paura.
Sono gli anni della liberazione sessuale passante per la possibilità di avere rapporti sicuri al di fuori del matrimonio ma anche per nuove ideologie femminili, nuove concezioni sulla vita della donna e sul suo futuro.
Sono anni di tumulto ma anche di caos, e alle donne si aprono via via tutte le carriere fino a quel momento puramente maschili. Iniziamo a vedere più facilmente donne avvocato, medico, poliziotto, donne in politica, ed inizia una nuova fase della lotta femminile, quella per la reale parità di genere tentando di dare seguito nel quotidiano a quanto conquistato a livello legislativo.
L’ingresso delle donne nelle carriere maschili
Quelli dagli anni ’70 in poi sono anni di pionierismo. Le donne che fanno carriera sono spesso le uniche e le prime ad entrare nei loro posti di lavoro, ancora interamente maschili e corredati di idee spesso ancora non in linea con le ultime evoluzioni sociali.
Sono anni molto duri per le prime donne in carriera, chiamate a contrastere battute e comportamenti sessisti di cui a volte non sono neanche consapevoli poiché abituate e riceverli quotidianamente. Anche a livello retribuivo c’è molto da lavorare: avendo ancora poche tutele per condizioni tipicamente femminili come la gravidanza e la maternità, si vedono spesso licenziate al momento della nascita di un bambino o decurtare interi stipendi a seguito di assenze lagate alla cura della famiglia. Molte donne per questo, seppur cadute le marriage bars, dopo la nascita del primo figlio lasciano il lavoro e, se vi rientrano, lo fanno solo dopo tanti anni, quando ormai i figli sono già grandi.
Ma oggi, nel XXI secolo, com’è la condizione femminile? E, dopo tutte queste lotte, come mai le donne sembrano aver perso quella sorellanza che le induceva tutte insieme a scendere in piazza a sfidare l’autorità della società patriarcale?
Le donne del XXI secolo
Molte delle donne oggi adulte ed in carriera, ma anche molti degli uomini loro coetanei, sono nati dopo quelle lotte, in famiglie dove era normale vedere la mamma prepararsi per andare al lavoro e vedere il papà passare l’aspirapolvere.
Putroppo e per fortuna, per la generazione adulta di oggi, la radicata differenza di genere e la società patriarcale sono solo realtà di cui si è a conoscienza ma non si ha consapevolezza. Se non per questioni puramente economiche, la maggior parte delle ragzze nate dagli anni ’80 in poi non ha neanche mai preso in considerazione seriamente che alcune carriere potessero essere a loro precluse in quanto donne e i ragazzi, a loro volta, non riescono neanche ad ipotizzare di essere in scuole, università o uffici in cui non siano presenti anche delle colleghe, anzi, sia per i maschi che per le femmine, essere potenzialmente iscritti in scuole esclusivamente femminili o maschili è considerata una vera e propria punizione.
Gli adulti in età fertile di oggi, non combattono più per certi ideali perché li danno ormai per assodati. È in parte è effettivamente così: i giovani di tutto il mondo propendono in gran maggioranza per il considerare inaccetabile la disparità di genere oltreché estremamente infruttuosa in termini puramente economici in quanto si rischia di perdere menti ed idee brillanti per ideologie ormai superate.
La sorellanza…
Nonostante questo, sotto i nostri occhi vediamo ancora molte differenze di trattamento tra uomini e donne considerando ingiustificabile il disinteresse di alcune donne per la lotta femminista. Ma perché ciò accade, sono davvero ormai tutti così disinteressati?
La verità, secondo gli studi pluriennali di Alison Wolf, è che alcune donne non vedono più le difficoltà delle altre perché semplicemente le loro vite sono completamente diverse da non poter più trovare alcun punto di incontro.
Se fino all’epoca di Jane Austen tutte noi, ricche o povere che fossimo, bianche o nere, avevamo tutte lo stesso destino segnato: matrimonio/figli o zitellaggine, oggi, con l’emancipazione delle nostre nonne, ad ognuna di noi si sono aperte una miriade di possibilità. Possiamo scegliere se studiare o no, se arrivare al diploma, alla laurea, al master o al dottorato. Possiamo scegliere se nel frattempo unire studio e lavoro, studio e vita sentimentale, studio e maternità, studio e convivenza, studio e matrimonio. Possiamo scegliere se lavorare, in cosa e come lavorare, se nel frattempo mettere su famiglia o no, se avere una vita sessuale attiva o meno. Possiamo persino scegliere se essere single, essere single con figli, stare con un uomo, una donna o entrambi!
Oggi, le nostre vite di donne possono assumere talmente tante sfaccettaute che in alcuni casi il quotidiano di alcune di noi è più simile a quello di un collega d’ufficio uomo con cui collaboriamo ogni giorno ché a quello di qualsiasi altra donna del resto del mondo.
Non riusciamo a combattere per la questione femminile perché di fatto, così come originariamente intesa, non esiste più. Non possiamo essere sorelle perché di fatto non sappiamo più nulla l’una dell’altra. Dunque la sorellanza e la famosa solidarietà femminile non si otterranno mai nonostante tutte le lotte condivise?
…è impossibile.
Ma vi siete mai chiesti perché tra donne si tenda automaticamente alla competizione? La primatologa Sarah Hrdy ci da una spiegazione che sembra più che plausibile. Tra donne esiste per natura la competizione e non la solidarietà perchè, essendo legata per secoli la nostra sopravvivenza all’unione ad un maschio e, tanto più era forte e valoroso il nostro maschio, tanto più la nostra vita migliorava, abbiamo imparato per istinto a difenderci, a non fidarci e a tentare sempre di primeggiare sulle altre femmine in quanto potenziali rivali.
Dunque, che ci piaccia o no, l’antagonismo tra donne ce l’abbiamo nel DNA, è un istinto primordiale dall’epoca delle scimmie e molte femmine, di molte specie animali, in questo somigliano agli esseri umani. È davvero impossibile allora immaginare la solidarietà femminile nella realtà odierna in cui le vite delle donne sono estremamente diverse e geneticamente parlando siamo portate a competere? In realtà no, una soluzione c’è, e, con i suoi studi, ce la offre la stessa Alison Wolf.
L’istruzione ci salverà, forse
Analizzando la condizione femminile sotto molteplici aspetti, sviscerando opinioni e convizioni di donne e uomini a contatto con tali donne, Alison si è accorta che sono le persone con più alti livelli di istruzione a vivere una vita qualitativamente migliore in termini di rapporti umani, genitoriali e sentimentali. Perché potenzialmente con impieghi migliori quindi più benestanti, se non schifoamente ricchi? Si e no. Quello che noi comuni mortali dobbiamo capire è che essere possessori di grandi somme di denaro o importanti proprietà determina per il titolare una serie di responsabilità tali per cui, come gli stessi dati usati da Alison dimostrano, in termini di stress e di tempo da didicare alla famiglia e allo svago, si sta molto meglio quando si sta peggio.
Ciò che migliora la qualità complessiva della vita di chi ha alti livelli di istruzione è la consapevolezza. Chi dedica buona parte della sua vita a studiare e continua a farlo, che sia uomo o donna, dimostra una visione più profonda della vita in tutte le sue sfumature, conosciute direttamente o solo tramite studio ma comunque in qualche modo sfiorate o meditate.
La solidarietà e la prosecuzione delle lotte iniziate dalle donne sin dal ‘800 è possibile e sarà alimentabile in futuro solo grazie all’impegno di chi è disposto ad andare oltre. Non è più una questione di antagonismo tra femminismo e maschilismo, la società è talmente poliedrica ormai che sarebbe riduttivo e in alcuni casi anche ingiusto, proseguire una battaglia serrata tra uomini e donne senza comprendere che i fronti della lotta si sono evoluti.
Oggi la battaglia travalica i generi, le origini e le classi sociali, è tra le persone che riescono ad intelligere le mille sfaccettature sociali attuali senza viverle come minacce, e chi ostinatamente insiste nel contiuare a categorizzarle, vedendo per forza tutto o bianco o nero, senza accettare minimamente l’esistenza di una miriade di sfumature.
Come dicevamo, oggi alcune donne hanno la vita più simile a quella di altri uomini piuttosto che a quella di altre donne. Molte di noi, in passato e ancora oggi hanno trovato una via per realizzare i loro sogni anche grazie alla collaborazione di uomni, compragni, padri e fratelli che hanno creduto in noi e, se si vuol continuare a migliorare la condizione femminile, non si può prescindere dalla consapevolezza che sia più correto parlare di condizioni femminili e, di rimando anche maschili quando il modo di vivere degli uomini influenza proporzionalmente quello delle donne e viceversa.
Non si può prescindere dall’aquisizione che per fare ciò, l’unico modo sarà dare a tutti, uomini, donne, occidentali, orientali, la possibilità di istruirsi sviluppando senso critico, accedendo al tipo di vita più adatto per se stessi e non ritenendo minacce tutt* coloro che vivono in modo diverso da noi ma aiutandol*, per quanto umanamente possibile, a realizzarsi a loro volta.
A presto,
Giancarla.
p.s. I dati statistici su cui si basa la stesura di questo articolo sono facilemente reperibili all’interno della pubblicazione di Alison Wolf succitata.
2 risposte a “Donne Alfa: gli studi di Alison Wolf e il futuro della solidarietà femminile”
Ciao Giancarla.
Da maschio, sicuramente, non posso dirmi femminista, poichè credo che la condizione femminile sia condivisibile solo da chi la vive direttamente. Tuttavia volevo lanciare questa provocazione: e se tornassimo agli insegnamenti di Rosa Luxemburg e Clara Zetkin? Cito queste due figure non a caso poichè rappresentano, per quanto mi riguarda e secondo la mia non modesta opinione, il meglio della movimentazione femminista. Luxemburg e Zetkin erano due rivoluzionarie, bolscevico-leniniste (si diceva allora), che collegavano la rivendicazione dell’emancipazione femminile e sessuale con quella più generale di una rivoluzione socialista che portasse ad una società senza classi, nella cui condizione solo e veramente si potrebbero realizzare le istanze di liberazione sessuale e di genere. È una prospettiva superata? Non credo; piuttosto potremmo dire che è una visione rinnegata, nel senso che, specie nel decennio 60-70 del Novecento, si è voluto deliberatamente rompere con la tradizone del femminismo socialista. Tuttavia questa prospettiva è più che mai attuale, e ritorna sempre, imperativamente al di là delle resistenze a riconoscerla e a capirla. Connettere rivendicazioni sociali e lavoro, questo è il punto (non come una certa tradiozione di diritti “civili” che ha voluto addirittura pretendere di “abolire il lavoro”).Sinceramente credo che l’obiettivo del femminismo debba essere quello di una società in cui cui la donna, o la femmina, sia libera in quanto necessaria* al di là e indipendentemente dal maschio ed entrambi liberi in quanto necessari come esseri umani.
Non se sono stato abbastanza esaustivo, ma spero di essere stato chiaro.
Cari saluti!
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* Per Marx ed Engels, sulla scia di taluni insegnamenti Hegeliani (e non solo), la libertà non è affatto l’opposto della necessità ma ne è anzi un suo diretto prodotto. La libertà si può solo configurare come riconoscimento e conseguenza dello stesso Regno della Necessità.
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