“La mamma è sempre la mamma”. Così si dice da sempre, o almeno così si dice da sempre in Italia. Mia mamma mi ama e mi ha amato alla follia, ha dimostrato sempre una grande e delicata forza nei miei confronti, mentre io, come ogni figlia, a volte sono stata un po’ ingrata (e tanto cattiva). In adolescenza infatti, nei momenti di crisi tra noi, in modo immaturo non le ho mai risparmiato che preferissi mio padre perché lui mi capiva, mi ascoltava e sapeva sempre come prendermi.
Quel che ho compreso solo poi è che probabilmente la grande dote di mio padre nel comprendermi era legata al fatto che le mie fragilità le ho prese da mia madre rendendogli “facile” il lavoro di porsi nei miei confronti nel modo in cui aveva imparato accanto a lei, offrendosi per entrambe come pietra miliare delle nostre esistenze. Mia madre dal canto suo, inconsapevole generatrice delle doti genitoriali di mio padre, forse proprio perché più simile a me, pur amandomi alla follia, non è mai riuscita a trovare il modo più giusto per approcciarmi.
Ad oggi sono consapevole che alla mia crescita hanno contribuito l’amore ed il sacrificio di entrambi: mia madre alimentando la mia emotività e mio padre insegnandomi a gestirla. Sono consapevole di aver preso e appreso da entrambi. Il mio temperamento è sicuramente paterno, ma la mia meraviglia per il mondo e le sue sfumature è inequivocabilmente materna.
Tutto questo non per confessarvi che quando ero bambina e gli adulti mi facevano la stupida domanda “a chi vuoi più bene, a mamma o papà?” io rispondessi ingenuamente “a papà”, ma per ricordarvi che l’essere genitori ed essere per questo fondamentali nella vita di un figlio trovando la chiave di volta che regge i loro cuori non dipende dall’essere uomo o donna, dall’essere mamma o papà, ma semplicemente dall’essere genitore instaurando un imprescindibile legame verbale e non verbale con i propri figli, del quale entrambi non riusciranno mai a fare a meno.
Educare non è un lavoro da donne
Oggi sto tentando di fare dell’educazione il mio lavoro e c’è una cosa per la quale penso mi batterò molto in futuro: gli uomini educatori.
Sapete benissimo come ancora, in buona parte del mondo, lavorare in educazione significhi svolgere un lavoro da donne spingendo molti ragazzi promettenti a non prendere neanche in considerazione gli studi di riferimento. Questo è un vero peccato.
Oltre l’esperienza con mio padre, all’università e non solo mi è capitato spesso di parlare con ragazzi (maschi) di altre facoltà, discutere di questioni sociali e vedere come certi argomenti li animassero e motivassero, eppure chiedendogli se non avessero mai pensato di compiere certi studi, rispondevano sempre di No con un’espressione piuttosto stralunata, quasi offesa.
Sono consapevole che prima di aprirsi certi settori educativi agli uomini di acqua sotto i ponti ne passerà tanta, prima di vedere educatori maschi nei nidi a cambiare i pannolini, credo raggiungerò la pensione, ma io ci spero e dimostrerò il mio massimo sostegno nei confronti dei colleghi.
Ma, ahimè, già riconoscere agli uomini il giusto merito in quanto genitori so essere una battaglia culturale non da poco, almeno in Italia. Riconoscere agli uomini di essere in grado tanto quanto le donne di svolgere a pieno il proprio ruolo senza essere considerati solo dei sostituti delle madri, prevede ancora una grande fase di maturazione sia da parte delle mamme che dei padri stessi.
É vero che spesso “la mamma è la mamma”, ma lo è anche perché non si riescono ancora a scardinare alcuni arcaici convincimenti ponendo un muro tra padri e figli fin dal principio.
È vero che biologicamente parlando, la donna diventa genitore dal primo attimo della gravidanza mentre l’uomo spesso solo dopo la nascita del bimbo, ma queste differenze biologiche non dovrebbero creare una discriminazione nei confronti degli uomini. Seppur biologicamente svantaggiati in una realtà naturalmente femminile, nella sacrosanta ottica dell’equità, non è detto che non riescano a colmare quel vuoto di genere che noi donne, giustamente, rivendichiamo di poter colmare nei loro confronti in altri contesti.
Maggiore equità tra uomini e donne, dando spazio più alle singole anime e alle personali attitudini donerebbe a tutti una nuova sconosciuta serenità.
Educazione sentimentale di un padre e delle sue piccole grandi donne
Forte di queste mie convinzioni personali, incuriosita, mi sono avvicinata al libro Tutte le prime volte. Educazione sentimentale di un padre e delle sue piccole grandi donne di Paolo Longarini. E mi sono divertita un mondo!
Paolo è un laziale. Inteso come abitante del Lazio, non tifoso della squadra (anche perché leggendo ha avuto l’impressione che tenesse per la Roma) che, dopo una giovinezza passata cercando il senso della vita negli anni ’80, all’inizio degli anni 2000, intorno ai 30 anni, diventa padre di Chiara e 5 anni dopo di Irene.
Avrete capito che i toni del libro sono quelli tipici di un laziale (inteso sempre come un abitante del Lazio), con ironia e sorrisi sempre dietro l’angolo ma che tra le righe raccontano importanti momenti della vita di un giovane uomo nel suo cammino verso la genitorialità.
Un padre orgoglioso delle sue figlie
Scopriamo un padre orgoglioso delle sue piccole grandi donne, da cui, con cui e per cui impara umilmente ogni giorno il suo nuovo senso della vita apprezzando e riapprezzando dettagli dell’esistenza che fino a quel momento non aveva percepito o semplicemente, come accade con l’età adulta, aveva smesso di percepire.
Con Paolo, le sue figlie e la moglie Rosanna, come spiegano le stesse Chiara e Irene nell’ultimo capitolo, viviamo una famiglia normale, simpatica e appassionata come poche, ma non di certo privilegiata o lontana dai questioni quotidiane di ogni famiglia comune.
Con loro riviviamo la naturale difficoltà di un genitore nel lasciare per la prima volta la propria cucciola all’asilo a persone tanto esperte quanto sconosciute, i disagi per uno sciopero improvviso a scuola e l’istinto di protezione connesso alla voglia di tenere fuori dalla vita intima familiare tutti i consigli non richiesti. Comprendiamo le mille lotte di mamma e papà nel tentare di trasmettere determinati valori ai propri figli quando il mondo spinge strenuamente in senso contrario e la battaglia interiore nel dover rivestire il ruolo di Genitore lungimirante quando la via del cuore vorrebbe solo vedere i propri figli felici e sorridenti in ogni momento, anche quando sbagliano.
Un messaggio di fondo sulla genitorialità
Il libro in questione non ci racconta la genitorialità perfetta né pretende di farlo. É un libro di rivisitazione, di dolci ricordi che si sceglie di condividere con gli altri non per protagonismo ma per compartire la lezione di fondo appresa dalla vita genitoriale che personalmente, da figlia di un padre umanamente speciale, condivido.
Quella di entrare nelle nostre vite non è stata una loro scelta e tutto il loro mondo poggia sulla normalità dell’alzare una manina e sapere che verrà presa. Il mondo cambia in assenza di quel contatto. […] Dobbiamo distinguere quanto tempo sia necessario trascorrere con loro e quanto no. Siamo adulti, esperti, abbiamo visto e fatto cose e sentiamo di aver attraversato questa fase, seppur dall’altra parte, come figli. […] La differenza consiste nel vivere i figli come un piacere e non come una responsabilità. Volere stare con loro e non doverlo fare.
– Paolo Longarini, Tutte le prima volte: educazione sentimentale di un padre e delle sue piccole grandi donne, HarperCollins, Milano, 2018, p. 221.
Spesso, tra i mille modi di dire legati all’essere genitori c’è anche “i figli sono di chi li cresce e non di chi li fa” e in questo non posso che essere d’accordo aggiungendo che non solo sono di chi li cresce ma anche di chi li vuole far crescere, accettandone individualità, fallibilità e aspirazioni:
In ogni figlio c’è un momento monolite nero, un episodio della loro vita che guardano con occhi diversi, l’attimo, la Terra che trema, in cui sentono cambiare qualcosa dentro di loro. E devi essere lì per capirlo. Diventano consapevoli della propria individualità e sentono di non essere solo parte della famiglia. Devi accorgerti di quel momento, lanciarti addosso acqua fredda, darti due sberle ben assestate in faccia e iniziare pian piano a farle camminare da sole, renderle emotivamente indipendenti, evitare di piantare in loro il tanto amato seme del senso di colpa con cui siamo stati tirati su. […] Devi essere il loro pavimento, non le loro pareti. E mai il loro soffitto. Alzando gli occhi, devono poter avere soltanto il cielo sopra di loro.
– Paolo Longarini, Tutte le prima volte: educazione sentimentale di un padre e delle sue piccole grandi donne, HarperCollins, Milano, 2018, p. 221-222.
Accettare di dover fare un passo indietro rispetto al diritto di veto che si ha per quasi vent’anni sulla vita dei propri figli, immagino sia uno dei momenti più difficili per un genitore, un gesto di amore supremo paragonabile a pochi altri.
Da figlia di una mamma umanamente speciale che silenziosamente ha sempre accettato ogni mia decisione, posso dire solo grazie a tutti i genitori che seppur rimanendo nell’ombra, nella stanza da soli al buio non ci lasciano mai.
A presto,
Giancarla.
Ps. E comunque si, caro Paolo, gli stipendi di educatori ed insegnanti sono decisamente troppo bassi.