Giorni di pioggia e gelo in questo inizio di febbraio, ma devo dire che nonostante l’ennesimo temporale mi abbia beccata all’uscita dalla metro inducendomi a comprare dei nuovi stivaletti da pioggia, questa settimana di lezione è stata piuttosto tranquilla. Personalmente, non so perché, sono molto stanca. Forse per un cambio di dieta, forse per le ore di sonno non ben distribuite o gli sbalzi di temperatura, sta di fatto che sono veramente stanchissima pur non impegnandomi in nulla di eccessivamente significativo. Speriamo di riacquisire presto un po’ di forze.

Per quanto riguarda il corso, in questi gironi abbiamo trattato un argomento per me molto interessante: abbiamo parlato di alimentazione e svezzamento/auto-svezzamento.
Il tema dell’alimentazione e più in dettaglio lo svezzamento, credo sia uno di quelli che più di tutti genera ansia, discussione se non attrito all’interno delle famiglie e non solo.
In questa sede, consapevole che un argomento tanto interessante non può esaurirsi in un post da blog, vorrei provare a darvi spunti per approfondire e qualche curiosità.
Prima di tutto ebbene che sappiate che ciò che determina come e quanto tenderà a mangiare un bambino in futuro, la sua neofobia alimentare, ossia il rifiuto dei cibi sconosciuti (il cui picco è tra i 2 e i 6 anni) e la sua schizzinosità, ossia il rifiuto a mangiare cibi già noti, è riconducibile principalmente a tre fattori:
- fattori genetici ossia il numero di papille gustative presenti sulla lingua. La presenza di più o meno papille gustative definirà con quanta intensità si percepiscono in sapori. Chi ha più papille percepisce un sapore aspro o amaro con molta più virulenza di chi ne ha di meno, tendendo a scansare più facilmente una pietanza;
- esperienze precoci legate ai cibi mangiati dalla mamma in gravidanza e in allattamento. É stato provato che tramite il liquido amniotico e il latte, al bimbo arrivano i sapori dei cibi ingeriti dalla mamma e che per questo, una volta iniziato lo svezzamento, il bimbo accetterà più volentieri i cibi a lui già “proposti” in precedenza. Ergo, se la mamma avrà una dieta varia in gravidanza (soprattutto nell’ultimo trimestre) e in allattamento, il bimbo sarà in seguito più propenso ad accettare un’alimentazione varia;
- influenze sociali provenienti dalla famiglia e dai pari. In questo caso ci riferiamo a ipotetici “buoni o cattivi” esempi legati all’alimentazione in famiglia o a scuola, con la trasmissione o l’incitamento implicito o esplicito ad a sviluppare un’abitudine alimentare a dispetto di un’altra. Assolutamente negative, in caso di bimbo inappetente, sono le “battaglie per mangiare”, che provano nella pazienza bambini e genitori. In quest’ultimo caso, è brutale da dire, ma in queste circostanze non è mai morto nessuno di fame: se un bimbo non vuol mangiare nulla ora, mangerà più tardi quando gli si risveglierà la fame. SI alla libertà di scelta tra due o tre pietanze, magari da porre sul tavolo in modo che tutti in famiglia possano scegliere cosa più gradiscono – NO al ristorante genitoriale aperto a tutte le ore, utile solo a viziare il bambino e ad indurlo a mangiare solo determinati cibi preferiti. Fondamentalmente, l’importante è insegnare al bambino a mangiare in modo equilibrato dimostrandogli che noi siamo i primi a farlo, e lasciare che lui possa sperimentare, magari anche toccando il cibo, senza mai arrivare a trasformare i pasti in un momento di tensione o ansia. Ripeto, nessun bimbo morirà di fame se a pranzo decide di non mangiare, a cena gli si proporrà la scelta tra pietanze diverse, preferibilmente non le stesse del pranzo e senza sottolineare che non ha mangiato, e vedrete che mangerà. Mi raccomando però, curate sempre la presentazione del piatto: non siamo a Masterchef, ma siate onesti, voi stessi, se vi presentassero una pietanza nuova brutta da vedersi, non la mangereste.
Tuttavia, leggendo questi stessi fattori da un’altra angolazione, possiamo comprendere quanto anche il modo in cui avviene lo svezzamento può avere un forte peso sul decorso delle abitudini alimentari future del bambino. Ad oggi si parla di due modalità principali di svezzamento: lo svezzamento tradizionale e l’auto-svezzamento.
Nel primo caso, lo svezzamento tradizionale:
• inizia intorno ai 4-5 mesi;
• si basa su pappine e omogeneizzati offerti in quantità prestabilite;
• prevede orari di alimentazione ben definiti e diversi da quelli della famiglia;
• vede il bimbo imboccato;
• si caratterizza per il crono inserimenti del cibo, ossia gli alimenti sono introdotti a scaglioni;
• utilizza poco sale;
• vede la presenza di molte proteine.
Nel secondo caso, l’auto-svezzamento o alimentazione complementare a richiesta:
• inizia intorno ai 6 mesi, quando il tratto digerente inizia ad essere in grado di digerire alimenti solidi, non prima che il bimbo sia in grado di afferrare consapevolmente gli oggetti, manifesti interesse per il cibo (es. allunga le mani mentre i genitori mangiano), riesca a stare seduto da solo e sia sparito il riflesso di estrusione (tirare fuori la lingua per mangiare – gesto necessario per succhiare il latte dal seno);
• il bimbo è seduto a tavola con la famiglia;
• il bimbo mangia preferibilmente da solo, se necessario e possibile anche con le mani;
• il bimbo mangia le stesse pietanze della famiglia richiedendo lui stesso cosa e quanto vuole.
Nel rispetto di quanto affermato dall’autodeterminazione del bambino, potrete facilmente immaginare che l’auto-svezzamento sia la modalità di avviamento ad una sana nutrizione più condiviso da chi ha abbracciato la psicopedagogia Montessori in quanto, oltre ad aiutarlo a soddisfare autonomamente il bisogno fisiologico primario della fame, a lungo termine lo aiuta ad auto-percepirsi, a distinguere i propri differenti bisogni e, nel caso specifico, a capire cosa e quanto mangiare. Alcuni studi, a tal proposito, hanno dimostrato che così facendo i bambini si autoregolano, comprendono quali siano le effettive quantità di cibo di cui hanno bisogno e come variarne le tipologie.
Nonostante ciò, per onestà intellettuale, è da dire che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ancora non ha espresso una preferenza dell’alimentazione complementare a richiesta rispetto allo svezzamento tradizionale, studiandone ancora pro e contro di entrambe. Tuttavia, l’OMS ha previsto delle Linee Guida in materia, affermando che il bimbo non potrà essere svezzato prima dei 6 mesi circa e di certo non prima di aver raggiunto le tappe di crescita esplicitate poco più su in merito all’auto-svezzamento.
Ultimo punto di cui può essere utile tenere conto è la differenza tra baby-led weaning e auto-svezzamento. Nel primo caso, si tratta di una alimentazione a richiesta di stampo anglosassone proposta da Rapley&Murkett che pone l’accento sul bimbo che si auto-alimenta spontaneamente e liberamente, finendo con il servirsi primariamente delle mani e con il manipolare in toto il cibo senza vincoli, al fine di esplorarlo e conoscerlo per forme e consistenze. Nel secondo caso invece, più tipicamente italiano, del pedagogista Piermarini, è previsto che il bambino, così come ha da subito accesso ad ogni alimento mangiato in famiglia ed è lasciato libero di mangiare quanto vuole secondo i tempi dei pasti familiari, da subito è introdotto anche alle abitudini e alle regole di comportamento della famiglia, iniziando ad imparare ad usare le posate e a trattare il cibo così come lo trattano tutti gli altri commensali.
Come avrete capito, le ore di lezione sull’alimentazione sono state per me veramente stimolanti. Ho seguito questo argomento con molto entusiasmo poiché ritengo che un corretto rapporto con il cibo sia alla base della vita serena di ogni individuo. Non solo per il mantenimento del peso-forma, ma soprattutto per l’equilibrio psicofisico che un corretto apporto di energie e nutrienti determinano quotidianamente, per gli effetti benefici a lungo termine che questo va ad innescare, primi fra tutti gli esiti antiossidanti e antitumorali, ed infine la non poco rilevante connotazione sociale e conviviale che almeno per noi italiani, assume di per sé il momento del pasto. Per tutti questi motivi, data la doverosa importanza che è necessario dare ad ogni aspetto della vita delle personcine di cui mi vado ad occupare, imparare come aiutarle ad entrare nel meraviglioso mondo del cibo, soprattutto della cucina italiana, nel modo più naturale e salutare possibile, mi risulta imprescindibile. La cura ed il dialogo passano attraverso la parola ed il contatto fisico (dialogo tonico), ma per un buon educatore anche certamente tramite questo.
A presto,
Giancarla.