Tredici – stagione 2

Trama: Sono trascorsi cinque mesi dalla morte di Hannah. Per chiarirne le cause, ha inizio una lunga ed aspra battaglia legale tra i signori Baker e la Liberty High School. Tutti i ragazzi citati nelle cassette sono chiamati a testimoniare. Dovranno dire tutto ciò che sanno, a costo di rivelare nuovi, inaspettati retroscena.

Anno: 2018   Paese: USA   Titolo originale: 13 Reasons Why   Episodi: 13   Durata: 60min
Genere: Dramma adolescenziale   Voto: 3,8/5

Eccoci qui, dopo qualche settimana di mia sparizione, a commentare finalmente la seconda stagione di una delle serie più discusse di Netflix: la seconda stagione di Tredici.
Iniziamo subito dall’aspetto in questo caso più scontato, ossia la recitazione da parte di tutto il cast che, a mio avviso, è stata ancora una volta superba.
Ho continuato ad amare follemente Kate Walsh nei panni della mamma di Hannah, ma stupenda è stata anche Alisha Boe alias Jessica Davis, insieme a Brandon Flynn/Justin Foley, Justin Prentice/Bryce Walker, l’ormai rodato Dylan Minnette noto come Clay Jensen, Christian Navarro/Tony Padilla e l’inaspettato Devin Druid/Tyler Down.
Insomma, tutti bravi nessuno escluso.

Qualche critica invece, mi sento di rivolgerla nei confronti della trama.
Premettiamo che come gran parte del pubblico di Tredici, mi sono approcciata alla nuova stagione dividendomi tra l’avere grandi aspettative e la consapevolezza che oltre a non essere necessaria, poteva bastare veramente poco per rendere tutto estremamente forzato e privo di senso. Devo dire invece che nel complesso, nonostante le prime puntate un po’ noiose, la stagione non mi è dispiaciuta affatto in quanto approfondisce in modo plausibile i vari aspetti che hanno favorito il gesto estremo i Hannah, chiarendone elementi ed eventi che a primo acchito potevano apparire un po’ superficiali.

Anche stavolta la narrazione si sviluppa con una costante alternanza tra flashback e tempo presente, facendo emergere più vividamente le vite di amici e coetanei. E proprio questi ultimi che puntata dopo puntata, raccontando di Hannah, si fanno conoscere e arrivano agli occhi dello spettatore come nuovi protagonisti, non più solo come “crudeli ragazzini”, ma come adolescenti dei tempi moderni inseriti in un mondo e in dinamiche molto pi grandi di loro. E’ così che le disavventure di Hannah si scoprono essere solo la punta di un iceberg, in una scuola dove il bullismo la fa da padrone, i soliti “sfigati” sono brutalmente vessati e le ragazze molestate ed insidiate.

Se con la sua morte si scopre che “Hannah non era l’unica” ad essere bullizzata, tramite un dialogo interiore onnipresente tra lei e Clay, si rimarca che la sua scelta di ammazzarsi non è stata la liberazione in cui tanto sperava: non per la famiglia, che ne è uscita a pezzi (i genitori dopo la sua morte hanno divorziato); non per i suoi amici, che si sono sentiti traditi e abbandonati; ma soprattutto non per sé stessa, che non potrà più difendersi da critiche e speculazioni, non potrà più far punire i suoi persecutori testimoniando in prima persona, ma soprattutto non potrà più rendere felice la sua famiglia, occuparsi dei suoi amici e dedicarsi al suo futuro. Con il suo gesto, appare chiaro che Hannah ha perso tutto e non ha più alcuna voce in capitolo.
Questo aspetto, questo voler rimarcare l’inutilità di fondo del suicidio è stata la cosa che ho apprezzato maggiormente poiché, spesso, chi contempla il suicidio, pensa che sia un modo rapido per risolvere i propri problemi e per smettere di soffrire, ma in verità, ciò che accade è che i problemi rimangono, chi ci vuole fuori dai piedi finalmente l’ha vinta, chi ci ama impazzisce e noi stessi perdiamo ogni possibilità di scelta e di riscatto.

Molto elevata e più curata è la messaggistica nei confronti del pubblico: all’inizio di ogni puntata, con voce narrante e per iscritto, si specificano la particolarità dei contenuti, la fascia d’età a cui essi si rivolgono e si offrono contatti d’emergenza utili alle vittime di bullismo. Lo stesso messaggio è poi riproposto alla fine di ogni episodio.

Come anticipato, durante le puntate il protagonismo della morte di Hannah va a scemare lasciando spazio alle vite dei suoi compagni e ai disagi che le attanagliano. Tornano così alla ribalta il problema della tossicodipendenza tra i giovanissimi e la solitudine e la ghettizzazione di chi non rientra negli standard posti dalla massa, arrivando a toccare la dolorosissima questione made in USA delle armi in mano agli adolescenti e la possibilità che queste siano introdotte a scuola.
A fine stagione, Hannah dà spiritualmente l’addio ai compagni (e al pubblico), addio confermato dal rifiuto della stessa Katherine Langford a riapparire nella Terza Stagione già annunciata. Le vite dei ragazzi nel frattempo vengono stravolte da un nuovo avvenimento topico che, tuttavia, a pochi istanti dalla fine della 13° puntata trova una sua degna conclusione. A questo punto la narrazione si potrebbe tranquillamente considerare esaurita e lo spettatore termina le puntate con la consapevolezza che Tredici, continuando, verrà totalmente stravolto.

Sorge spontaneo domandarsi ché piega prenderà la sceneggiatura e quale senso assumerà lo stesso titolo. Ma soprattutto: era davvero necessario giungere ad una terza stagione?
Personalmente ho i miei dubbi, e l’avrei serenamente evitata per rispetto nei confronti del pubblico che si è sempre approcciato a Tredici con grande serietà, aspettandosi sensibilizzazione ed informazione e non di certo 85 stagioni in stile Beautiful. Ma si sà, le vie del business sono infinite e si spera sempre che il pubblico porga l’altra guancia.

A presto,

Giancarla.

 

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