Se ad applicare il Doppio Standard sono le professioni di aiuto

L’applicazione del DOPPIO STANDARD nella vita relazionale e lavorativa é un grande classico vissuto da tanti gruppi sociali nelle società occidentali.

Perché specifico “occidentali”? Perché nei Paesi occidentali, nonostante vi siano diverse forme di tutela e incoraggiamento della diversità, spesso accade che ufficiosamente si agisca con modalità tali che pongono in svantaggio i gruppi ancora privi del potere politico necessario a controbilanciare tesi, idee e stili di vita che non contemplano anche loro.

Fin qui tutto chiaro e detto e ridetto mille volte.

Ma quando il doppio standard lo applicano educatori/trici, insegnanti, ass. sociali, psicologi/ghe, dottori e dottoresse?

In parole povere, tutti quei professionisti e professioniste dell’aiuto che dovrebbero avere intrinseco nel loro lavoro l’abbattimento del doppio standard?

Più spesso di quanto sarebbe opportuno, raccolgo le testimonianze di persone che si sono sentite ferite da parole, frasi, modi di dire e di fare più o meno consapevoli, con più o meno cattiveria, dette di chi avrebbe dovuto accoglierle e accompagnarle.

Oltre a commentare, in modo facilone, che se non si hanno una buona dose di pazienza e di amore verso l’altro, certi lavori è bene non sceglierli fin dal principio, aggiungo un caloroso invito a fare tanta formazione continua.

Non in tutte le professioni è prevista per legge e che anche quando è prevista, si risolve in corsi fatti di corsa e senza voglia, ma le nostre professioni necessitano di una sferzata di novità, in primis a livello comunicativo.

Non possiamo permetterci di dare fiato alla bocca, pensando anche di far ridere, facendo battute da bar. Non possiamo lavorare senza la consapevolezza dei bias cognitivi e culturali che ci attanagliano e pretendere che l’altro – che ha bisogno di noi, dopo che lo abbiamo offeso, sia anche comprensivo con noi. Non devono essere i nostri utenti “a passarci sopra”, dandoci una seconda possibilità.

Quelli che devono aiutare siamo noi, formatevi e informatevi, per favore.

Fate corsi di comunicazione assertiva, lavorate sul linguaggio del corpo, approfondite questioni geopolitiche, sociali, interculturali e tutto ciò che di cui si parla tanto nella vostra comunità scientifica perché – provo a lanciarvi un piccolo input – quando si parla tanto di un approccio e in tanti iniziano ad applicarlo spesso è perché quell’approccio, in quel tempo e in quello spazio, evidentemente ha una reale bontà d’utilizzo.

Perché un professionista dell’aiuto che esordisce con un “si vede che non sei italiano” pensando ad oggi di far ridere, sarebbe da licenziamento immediato perché è evidente che abbia un senso della realtà ormai distorto.

A presto, Giancarla.

2 risposte a “Se ad applicare il Doppio Standard sono le professioni di aiuto”

  1. Post molto interessante, lo ricondivido anche nei miei profili social! È una riflessione a cui spesso non pensiamo, ma è davvero importante nel nostro lavoro. Io ho iniziato a lavorare come assistente sociale in comune da pochi mesi, e mi rendo conto di quanto ancora debba superare certi miei bias cognitivi.

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    • Molto importante è acquisirne consapevolezza. Ahimè, il lavoro sui bias non finisce mai in quanto frutto di anni e anni di educazione ed esperienze relativizzate al proprio punto di visto. In poche parole: ne spuntano sempre di nuovi di bias, che emergono con il progredire più consapevole della vita lavorativa e professionale. Ma, come dicevo, comprendere che si ha questo limite e che su di esso occorre lavorare, è un ottimo inizio.

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